A coloro che vengono dal PCI. Incamerare l'eredità o cambiare il testamento
di Piero Fortini---05-02-2025
Il rischio che si manifesta dopo il 1989 è quello di considerare la fine dell'esperienza comunista in Europa occidentale non un capitolo definitivamente chiuso, ma un incidente della storia che non ne inficia le idee sottostanti.
Così il 'nuovo inizio' di Occhetto sfocia nella 'gioiosa macchina da guerra' fino a Rifondazione Comunista, che non può non essere punita nelle elezioni del '94, mentre l'Ulivo che vince le elezioni del '96 si manifesta più come cartello elettorale che come alleanza organica. Dopo soli due anni sarà la componente di sinistra dell'alleanza e parte dello stesso PDS a far cadere il Governo Prodi-Veltroni.
Sarà questo passaggio drammatico un vulnus non temporaneo, risultante di una sintesi non avvenuta tra sinistra ex comunista, cattolicesimo progressista e cultura laico-liberale, mentre un contesto inedito che si va affermando con la rivoluzione delle tecnologie e delle comunicazioni mette in questione gli stessi fondamenti di quelle culture.
Un Pds, poi DS, che non innova compiutamente la sua cultura politica e fallisce la sua prima esperienza di governo, inaugura dal '94 una stagione di antiberlusconismo fondata più su una critica moralistica e di costume piuttosto che sulle concrete istanze politiche e sociali portante in campo da Berlusconi. Analogamente a quanto compiuto dal Pci rispetto a Craxi: anzichè argomentare una dialettica potenzialmente feconda sulle proposte craxiane di una Grande riforma istituzionale, di un fondamento sociale meritocratico, del superamento di un tabù come l'automatismo della scala mobile, si alimentò lo scontro in termini più ideologici che politici. In coerenza con l'interpretazione sbagliata che il Pci diede delle ristrutturazioni tecnologiche degli anni '80 come espedienti strumentali dei 'padroni' per indebolire lavoratori e sindacati, anzichè come fondamentali innovazioni dei modi di produzione che nel mondo, non solo in Italia, andavano affermandosi.
Anche la DC non si mostrò in sintonia coi tempi che stavano cambiando dalla metà degli anni '70 ed ebbe inizio a partire dai '90 quella stagnazione produttiva e di competitività che ci siamo portati fino ai nostri giorni.
Nel primo decennio dopo il 1989 furono pertanto nettamente prevalenti le componenti culturali di continuismo rispetto ai timidi e non chiari elementi di svolta.
La vera novità avrebbe potuto essere la nascita del Pd, con l'obiettivo di andare oltre il passato e pervenire ad un inedito approdo culturale e a più alte ambizioni politiche, perchè le diverse componenti fondative del nuovo, sottolineo nuovo, partito avrebbero lasciato i luoghi di provenienza per intraprendere insieme un viaggio diverso.
Ma così non è stato.
Nel mare che si doveva attraversare si è arrivati fino alle boe di sicurezza e si è rimasti aggrappati lì, con la testa rivolta alle rive di partenza.
Anche ai nostri giorni si ripresentano con continuità i segni della vecchia cultura, quella che doveva essere superata per divenire un più ampio magnete attrattore. La ricerca di un nuovo modello di sviluppo che superi un capitalismo moltiplicatore di ingiustizie e disuguaglianze; l'accusa di subalternità della sinistra al neoliberismo, facendo anche di quest'ultimo un feticcio astratto, peraltro mai affermatosi in Italia, che ha piuttosto il problema contrario di scarsa concorrenza e scarso dinamismo sociale; il conflitto insopprimibile tra imprenditore e lavoratore; la mercificazione e l'alienazione della vita quotidiana; la visione della globalizzazione come drammatica minaccia; la concezione dell'uomo come predatore.
Insomma, in gran parte l'armamentario di una volta, dell'epoca prima dell'89. Supportato dall'affermazione-alibi che la maggioranza degli italiani è storicamente di destra, mentre la verità è che non vede nella propria vita quotidiana concreti riscontri con le affermazioni-slogan della sinistra.
Ed oggi siamo qui, noi che veniamo dal PCI. Dopo 100 anni dalla nascita del 'nostro' partito tracciamo i bilanci di una vicenda che ha coinvolto milioni di persone e la storia del nostro Paese, di tanti Paesi del mondo.
E di ciò che siamo diventati come persone. I valori di giustizia, solidarietà, dignità civica e sociale, sobrietà, spinta alla conoscenza che, grazie anche alla comunità di quel partito, innervano tuttora la nostra vita.
Ma è venuto progressivamente in chiaro negli anni che sono molteplici e diverse le tradizioni, le culture, le comunità che hanno abbracciato questi stessi valori e che su tali valori non esiste alcuna primazia, nessuna fonte più genuina di altre.
C'è la tradizione del movimento operaio, quella del mutualismo e solidarismo cattolico, quella del socialismo democratico, quella liberaldemocratica, quella del movimento femminile, quella del movimento ecologista. E 80 anni prima di Marx c'è stata la Costituzione federale americana. E ci sono le culture in parte ancora non del tutto definite o comprese che si vanno formando con la rivoluzione scientifica, tecnologica e delle comunicazioni negli ultimi 30 anni.
Molteplici modi e strade e viaggi per arrivare a quei valori.
È arrivato il momento di dire definitivamente addio ad ogni pretesa di superiorità morale e culturale della sinistra.
Non solo tale superiorità non esiste più. Non c'è mai stata.
Nel campo ancora fertile delle libertà e delle democrazie esiste un arcipelago di fonti, di culture, di possibili approdi. Di persone che, provenienti da sponde diverse, nuotano nello stesso mare.