Il mondo nuovo. Disuguaglianza o diversità.
di Piero Fortini---03-01-2025 | |
Lo storico Andrea Graziosi ha pubblicato nel febbraio 2024 sul Foglio un importante articolo, intitolato 'La sinistra ha bisogno di un discorso nuovo', in cui, con abbondanza di argomentazioni storiche, finiva per concludere che il Pd, essendo la risultante di due culture sconfitte, quella ex comunista e quella ex democristiana, aveva unito due debolezze. Pertanto 'il re è ormai nudo, senza un'analisi realistica del mondo, amante di declamazioni retoriche, con la priorità di proteggere i deboli senza sapere parlare ai forti, senza i quali non c'è futuro...Occorre un gruppo dirigente riformista, capace di parlare a tutti, perchè le grandi priorità -denatalità, immigrazione indispensabile, potenziamento scientifico e tecnologico di Europa e Italia altrimenti marginali- riguardano tutti e di esse bisogna parlare con tutti'. Riguardo al nocciolo del ragionamento di Graziosi sulla sinistra che privilegia i 'deboli' senza considerare i 'forti', vorrei qui soffermarmi su un aspetto, riservandomi in futuro di approfondirne eventualmente altri. La componente maggioritaria della sinistra persiste tuttora nel considerare il livello di disuguaglianza come il principale metro di misura della qualità di una società, ribadendo pertanto quanto di residuale protocomunista e proto cattolicesimo sociale ci sia ancora nella propria cultura politica: il mito dell'uguaglianza e la considerazione prioritaria degli ultimi. Tralasciando la facile considerazione che le società precapitalistiche erano certamente più egualitarie, ma in quanto l'1% era super ricco, il 4% fortemente agiato e il 95% indistintamente povero, arrivando in epoca moderna ci imbattiamo nei milioni di cinesi morti per carestie durante l'esperimento fortemente egualitario del Grande Balzo di Mao, mentre la Cina riformata di Deng era certamente più disuguale, avendo creato un ceto medio che ha superato i 300 mln di persone. Dal 1815 al 1915 30 mln di europei sono emigrati da società più egualitarie verso il capitalismo selvaggio degli Stati Uniti. Per arrivare all'oggi. Secondo la Banca Mondiale i Paesi con l'indice di Gini più basso, quindi con minori disuguaglianze, sono la Slovacchia, la Slovenia, la Bielorussia e la Moldavia, Nazioni non certo ai vertici dei sogni di riscatto da parte dei più deboli del mondo. Chi sta talmente male a casa propria da decidere di sradicarsi e andarsene, si muove non certo verso Paesi più uguali, ma verso Paesi più ricchi, in grado di offrire maggiori opportunità. E le società più ricche e che offrono più opportunità sono certamente più complesse e stratificate, probabilmente più disuguali di altre più omogeneamente povere. E qui arriviamo al tema: la priorità principale è l'uguaglianza o, assicurate il più possibile le medesime condizioni di partenza, non è invece la diversità? Le diversità che si creano in base alle doti di ciascuno, all'impegno, al talento, alle competenze, all'intelligenza, all'intuito, alle capacità di relazione, di direzione, di mobilitazione di risorse umane e materiali o immateriali. Perchè facciamo della biodiversità in natura un valore, mentre poi auspichiamo una maggiore omologazione sociale? E magari predichiamo la mediocrità del noi anzichè la vitalità della cooperazione-concorrenza degli io? Non si imbocca così una china che porta alla cultura dell'uno vale uno, dell'opinione di una persona che vale l'affermazione di uno scienziato? In un intervento precedente, elaborando dati contenuti nel bel libro di Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli 'Crescita economica e meritocrazia', mettevo in evidenza come Paesi più disuguali o con lo stesso o migliore livello di uguaglianza rispetto all'Italia, avevano tutti performance migliori dell'Italia: in produttività generale, livello di innovazione, numero di laureati, numero di laureati, occupazione giovanile o femminile, Pubblica Amministrazione, Giustizia e così via. L'Italia risultava il Paese, ecco il punto prioritario, a maggiore livello di staticità sociale, il Paese dove la propria sorte resta più legata alla propria condizione di nascita. E ciò in modo del tutto indipendente dal diverso livello di disuguaglianza dei Paesi considerati. Infatti mentre la Banca d'Italia certifica (Relazione finale dicembre 2023) che le disuguaglianze in Italia sono le stesse degli anni '70, proprio a partire da quegli stessi anni sono complessivamente aumentati in negativo i dislivelli di performance in molti campi rispetto ad altri Paesi affini. La questione principale, pertanto, non sono le disuguaglianze, ma un dinamismo sociale troppo basso, una scarsa propensione all'innovazione, una troppo scarsa riserva di opportunità. I giovani vanno via dall'Italia non solo e tanto per il precariato, come continua ad affermare Landini, ma anche perchè altrove trovano più occasioni qualificate e remunerate al giusto. In Italia non c'è solo il tema di un adeguato salario minimo, ma (dati Eurostat) soprattutto di riconoscimento remunerativo di competenze medio-alte (mediamente 44.000 euro contro i 55.000 della media europea). I laureati provenienti da famiglie povere sono in percentuale la metà di quelli degli Stati Uniti. Il problema prioritario del ceto medio in Italia non è tanto e solo di impoverimento materiale, ma soprattutto di speranze e aspettative, considerando che se un terzo ha paura di retrocedere socialmente, i due terzi non vedono alcuna possibilità di accesso a livelli superiori. Non la disuguaglianza, pertanto, è il problema prioritario. Piuttosto una persistente stagnazione, sociale prima che economica. E se ci si sente privati delle possibilità di acquisire migliori condizioni di vita, si smette progressivamente di mettersi alla prova, di indagare la realtà per creare le cose più appropriate, di inventare. Mentre è proprio questa ricerca incessante di cimentarsi con ciò che ogni giorno muta e venirne a capo la funzione principale da mettere in campo nell'economia della conoscenza. Soprattutto nel momento in cui essa non è più 'monopolio' di una sola parte del mondo e vede all'opera sia nuovi attori che propongono nuove sfide in positivo sia attori che tentano di affermare o imporre un modello di società liberticida. E'in questa situazione nuova che le società democratiche devono trovare nuove ragioni e valori vitali. Lasciando perdere miti e ritualità culturali che nemmeno nel passato hanno dato buona prova di sè. Figurarsi nel presente e nel prossimo futuro. | |