Il mondo nuovo. I paradossi della globalizzazione
di Piero Fortini---11-12-2024
Dagli inizi degli anni '90 del '900, si è innestato a livello globale un processo di sviluppo e miglioramento degli standard di vita mai così diffuso, così veloce, così incisivo da produrre, come ogni fenomeno inedito e dirompente, grandi passi avanti e nuove grandi contraddizioni.
È diventato a pieno titolo protagonista della storia il continente più popoloso, l'Asia, i cui standard di vita in soli 30 anni si sono elevati al livello dei Paesi più ricchi dell'occidente, con le conseguenze gropolitiche che ne derivano. Anche un continente prima negletto come l'Africa, ha conosciuto in alcune sue zone un ritmo di crescita prima sconosciuto. Dopo il 2015 persino Paesi della zona più povera, l'Africa subsahariana, hanno cominciato a crescere a ritmi più che doppi rispetto ai Paesi avanzati.
In tutto il mondo, salvo poche eccezioni, sono migliorate le condizioni di vita a tal punto che, a partire dal 2000, si sono fortemente ridotte differenze e disuguaglianze tra i Paesi del mondo. 'La grande convergenza' l'hanno definita gli storici. Mentre nel 1990 la differanza tra Paese più povero e quello più ricco (Etiopia-Usa) era di 256 volte, nel 2015 ( Repubblica Centro Africana-Usa) si era ridotta a 91 volte.
Gli scambi commerciali, la diffusione delle tecnologie, delle comunicazioni e delle informazioni si sono propagate a livello globale in modo talmente pervasivo da rendere più stringente il grado di interdipendenza tra le nazioni e le diverse aree del mondo. Ciò ha creato al contempo elementi di maggiore vulnerabilità globale (il propagarsi della crisi economica del 2008 e della pandemia da covid) e allo stesso tempo una maggiore efficienza delle contro misure: i tempi record di scoperta e messa in opera dei vaccini e il superamento di una crisi economica di entità notevolmente più grave di quella del 1929 senza le conseguenze catastrofiche che ebbe quest'ultima.
Ma altri nodi inediti e conseguenti vulnerabilità sono emersi.
La 'rinascita' dell'Asia ha reso soggetto potenzialmente egemonico uno Stato autocratico come la Cina, che si propone come modello alternativo alla compagine del mondo libero, considerato in via di progressivo declino e consunzione. Entro questo solco anti democrazie liberali si iscrive anche uno Stato autocratico come la Russia, restato ai margini dei vantaggi della globalizzazione e che cerca secondo una brutale logica di forza, anche perché privo di armi di sotfpower, di prendersi rivincite e uscire dalle proprie enormi difficoltà. Più in generale, in alcune componenti del mondo fino a ieri ai margini, si coltiva l'affermazione di una via allo stesso tempo di riscatto e di sopraffazione che può diventare una miscela assolutamente pericolosa.
Altro nodo problematico è una ancora più marcata crisi della sovranità dello Stato-nazione in assenza di soddisfacenti forme di regolazione sovranazionale e di istituti multilaterali pienamente efficienti. Qui sta una delle radici dei movimenti populisti: il profondo disagio conseguente a trasformazioni economiche e sociali tumultuose che mettono in crisi le aree territoriali e i settori produttivi più tradizionali si somma allo sconcerto conseguente alla crisi della più consolidata e più prossima dimensione nazionale di governo. Con la conseguenza di vedere più le minacce che le opportunità che il mondo nuovo offre.
A problemi inediti non corrisponde ancora una convincente architettura istituzionale globale di regolazione dei nuovi processi, con la crisi dello Stato-nazione e una pluralità di potenze a dimensione regionale che non riescono a concertare una direzione di marcia condivisa. E in tal modo si rischia di promuovere un disordine conflittuale che può far scaturire conseguenze drammatiche.