'Le identità di israeliani e palestinesi'. Seconda parte del libro di Anna Foa
di Mariella Di Falco---22-11-2024
La seconda parte del libro di Anna Foa si intitola “Identità” ed analizza la natura dell’identità degli ebrei e anche dei palestinesi e per quanto riguarda gli ebrei l’importante nesso tra identità degli ebrei della diaspora ed ebrei che già vivevano nello Stato di Israele, avvertendo che molti sono stati i mutamenti avvenuti sia negli ebrei una volta divenuti cittadini israeliani sia negli ebrei della diaspora.
Nei primi anni dopo la nascita di Israele, il nuovo Stato e la diaspora sono entità ben distinte.
L’incontro tra i due mondi, quello degli ebrei che già vivevano in Palestina (Yishuv) e quello degli ebrei sopravvissuti dai campi di sterminio dell’Europa non fu molto facile.
Coloro che arrivavano dall’Europa dopo l’esperienza dei campi trovavano un rifugio nel neonato Stato ebraico, ma non erano animati da uno spirito sionista.
La ricomposizione delle due anime degli ebrei, i sopravvissuti dell’olocausto e gli israeliani dell’Yishuv avvenne con il processo Heichmann nel 1961: attraverso questo processo Israele assimilò la diaspora che divenne parte integrante della sua storia.
Dice Anna Foa: “Nasce il paradigma vittimario e la memoria della Shoah diventa parte integrante e fondante dello Stato”. Con il processo Eichmann, Israele si poneva come l’erede dei sei milioni di ebrei morti nella Shoah e si assumeva il ruolo di mantenerne la memoria.
Si compie in tal modo un cammino di rinascita e di emancipazione dai ghetti sparsi in Europa verso la Terra di Israele, in altre parole la fine della diaspora era un segno di rinascita ebraica nella Terra dei padri. La memoria della Shoah divenne un pilastro della nuova identità degli ebrei e si concluse l’unione tra diaspora e nuovo stato d’Israele, assimilando sempre più gli Ebrei ad Israele.
Oltre alla memoria della Shoah, un altro elemento costitutivo dello Stato d’Israele è stato il terrorismo palestinese, che ha colpito gli Ebrei di tutto il mondo e non solo gli israeliani. L’elenco degli atti terroristici dopo la nascita dello Stato di Israele è lungo:
1972 l’attentato alle Olimpiadi di Monaco; 1980 attentato a Parigi alla sinagoga di rue Copernic; 1982 attentato alla sinagoga di Roma; 1994 attentato a Buenos Aires al Centro Culturale Ebraico.
Un altro elemento importante per l’identità degli ebrei israeliani è stata l’emigrazione verso Israele degli ebrei orientali (dopo il 1967) profughi dal Nordafrica e dal Medioriente: dopo anni di convivenza tra arabi ed ebrei, molti paesi (Siria, Iraq, Libano, Egitto) perdono quasi tutte le comunità ebraiche.
Secondo Anna Foa, il fenomeno migratorio degli ebrei orientali e nordafricani innesca “dei conflitti di classe e antropologici” fra la vecchia elite Ashkenazita, laburista e legata all’esperienza dei kibbutzim e i nuovi immigrati, poveri, considerati arretrati, chiamati mizrachim (orientali). I rapporti tra queste due comunità sono stati interpretati da alcuni storiografi israeliani come rapporti di tipo coloniale.
Un’altra data e un altro evento importante per lo Stato di Israele è la massiccia immigrazione proveniente dai Paesi dell’ex Unione Sovietica, avvenuta negli anni novanta: circa tre milioni di immigrati, di lingua russa, tanto che la terza lingua di Israele è il russo, dopo l’ebraico e l’arabo. Gli immigrati russi, aventi un alto livello di istruzione hanno contribuito in modo notevole allo sviluppo economico e scientifico dello Stato.
Ma anche l’elemento religioso costituisce un tassello importante dell’identità degli ebrei israeliani. La religione si manifesta in Israele non tanto nella frequenza delle cerimonie religiose quanto nell’alimentazione e nella osservanza del sabato.
Prima dell’attentato del 7 ottobre l’opposizione al governo di Netanyahu criticava lo spazio notevole dato ai partiti religiosi e ai partiti ultraortodossi.
In realtà, sostiene Anna Foa, Israele è una strana mescolanza tra laicismo e religione; il sabato non circolano i mezzi pubblici e quei pochi che circolano suscitano reazioni durissime da parte degli ultraortodossi, nei supermercati si vende solo cibo kasher, ma esistono molti negozi dove si vendono crostacei, maiale e altri cibi proibiti. In Israele non esiste il matrimonio civile e chi vuole sposarsi solo civilmente va a Cipro.
D’altra parte in Israele esiste una grande libertà di comportamenti, di vestirsi, di orientamenti sessuali, di vita, di rapporti tra generi e questo soprattutto a Tel Aviv.
La spaccatura tra religiosi e laici non si è attenuata con il tempo, come pensava Ben Gurion, ma si è andata sempre più acuendo e ora sembrano configurarsi come due mondi separati (secondo il rapporto statistico del 2022 , gli ebrei che si definiscono laici sono il 43%, quelli che si definiscono tradizionale religioso il 14% , il 10% si definisce ultraortodosso e un altro 10% ultraortodosso).
E l’identità della diaspora ? I legami delle comunità della diaspora con il nuovo Stato sono forti. Le vicende dello Stato ebraico vengono seguite con interesse e molti giovani della diaspora si sono arruolati come volontari nell’esercito israeliano nel 1967 (guerra dei Sei giorni). Ciò non vuol dire che gli ebrei della diaspora abbiano appoggiato sempre la politica del governo israeliano: si ricorda a questo proposito l’imponente manifestazione a Tel Aviv dopo il massacro avvenuto nei campi profughi di Sabra e Chatila.
Se negli anni ’80 la distinzione tra ebreo e israeliano era ancora possibile e gli ebrei della diaspora, sia europea che americana, avevano ancora dei propri caratteri; agli inizi del 2000 la diaspora sembra aver perduto la sua propria fisionomia, assumendo sempre più importanza la narrazione fatta da Israele. Anna Foa, a riprova di questo, ricorda come il rabbinato europeo sia in una posizione di dipendenza rispetto al rabbinato israeliano e lamenta come non esista più un ebraismo europeo, ma solo quello israeliano e quello americano e osserva come, all’indomani della caduta del comunismo, in Europa si sia anche perduta l’occasione di riunire l’eredità dell’Occidente e dell’Est Europa.
E l’identità palestinese ?
Anche l’identità palestinese nel corso di questi anni è mutata. Il 1948 ha profondamente trasformato l’identità di questo popolo. C’è anzitutto un dato numerico: i profughi palestinesi sono passati da 700.000 a circa cinque milioni e il ritorno dei profughi ha costituito sempre un problema nelle trattative di pace.
Ma come è definito in modo ufficiale il profugo ?
Secondo l’UNRWA, agenzia dell’Onu, profughi sono tutti coloro “il cui normale luogo di residenza è stato in Palestina tra il giugno 1946 e il maggio 1948, che hanno perso sia l’abitazione che i mezzi di sussistenza a causa della guerra arabo-israeliana del 1948”. Questa definizione copre sia i profughi che ancora vivono nella regione nei campi presenti in Libano, Giordania, Siria, Gaza sia i discendenti di coloro che erano fuggiti e che si erano stabiliti in altre parti del mondo. Per questo il dato numerico è elevato ed è importante.
La Nakba ha costituito una parte grandissima dell’identità palestinese di oggi anche per quelli che sono cittadini israeliani.
E come la Shoah è stata, dopo il processo Eichmann, il cuore dell’identità ebraica, così la Nabka lo è stata per i palestinesi.
Gli ebrei e i palestinesi si configurano come due ”identità nazionali in cui la dimensione della catastrofe e del trauma svolgono un ruolo centrale e dove la narrazione nazionale ruota in gran parte attorno a motivi legati all’essere vittime e alla perdita subìta” (da Bashir e Goldberg 2023, citato da Anna Foa).
La memora della Nabka, come quella della Shoah alimentano delle identità radicalmente contrapposte.
Esiste una possibilità di dialogo e, quindi, di pace ?