Marco Damilano al Liceo Socrate per ricordare un tragico evento
di Giuliana Mori---17-03-2024 | |
Molto toccante la ricostruzione che Marco Damilano ha fatto, presso il liceo Socrate di Roma giovedì 14 marzo alla presenza di due classi di studenti di quinto anno, della ricorrenza del rapimento di Aldo Moro e dell'uccisione dei cinque uomini della scorta, avvenuta il 16 marzo 1978, ben 46 anni fa. Nel racconto, che ne è scaturito, si avvertiva la sua profonda partecipazione, in prima persona, ad un avvenimento che ha visto tragicamente coinvolta tutta la popolazione italiana. Bambino di nove anni, frequentante la quinta elementare, quella mattina si trovava all'incrocio di via Fani, su un pulmino che lo avrebbe accompagnato a scuola, in attesa che arrivasse quel compagno ritardatario e poco prima che accadesse la sparatoria. In quegli attimi, dietro la siepe, c'erano gli uomini che di lì a poco avrebbero fatto fuoco. Per spiegare agli studenti la gravità di quanto accaduto e di come il paese abbia vissuto drammaticamente quell'evento, Marco Damilano paragona Aldo Moro, in quel momento Presidente della Democrazia cristiana e uomo politico più importante d'Italia, a Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, amato e stimato cittadino per il suo equilibrio, la sua mitezza, ma anche per la sua intransigenza, fratello di Piersanti Mattarella, ucciso anche lui in circostanze non ancora chiarite e uomo molto vicino ad Aldo Moro. In quegli anni la politica internazionale era condizionata dalla guerra fredda. In Italia nel 1978 la Democrazia cristiana viveva una condizione di profonda crisi per scandali di corruzione, per mancanza di rappresentatività nel paese, nonostante fosse il primo partito che governava con il 40% dei consensi. Aldo Moro sentiva l'esigenza di un profondo cambiamento all'interno del suo partito e riconosceva in Enrico Berlinguer, suo storico avversario, l'alleato con il quale intraprendere un percorso di responsabilità di governo. D'altro canto anche Enrico Berlinguer sentiva la necessità per il suo partito di staccarsi sempre di più dall'Unione Sovietica, che non garantiva livelli di democrazia e di indipendenza sia al suo interno che nel rapporto con gli stati alleati. Il 'compromesso storico' rappresentava quella sintesi delle due culture del popolo italiano, quella cattolica e quella comunista, entrambe di vaste proporzioni, che avrebbero potuto dare stabilità alla società italiana. Questo progetto però non piaceva nè agli Stati Uniti, che non vedevano di buon occhio questa alleanza con il partito comunista, nè alle Brigate Rosse, che vollero impedire questo cambiamento, individuando in Aldo Moro il perno dell'operazione. Il relatore ritiene molto strano che in quei 55 giorni di prigionia non sia stato trovato nessun indizio che abbia portato sulle tracce del rapito, nonostante ci siano stati diversi elementi che potevano orientare in quel senso, non ultima la parola Gradoli. E quando si iniziò a parlare di eventuale trattativa, a fronte della linea della fermezza, il tentativo messo in atto fu quello di screditare l'ostaggio, di delegittimare il carcerato in modo che si arrivasse alla sua condanna a morte. Alla domanda degli studenti, se la linea della fermezza abbia pagato, risponde che la vicenda era troppo delicata per creare le condizioni per potersi schierare. Come ora per il '7 ottobre', in presenza di vite umane, di ostaggi, si tratta, si deve fare qualsiasi cosa per salvare le persone, allora la linea della fermezza aiutò coloro che lo volevano morto. | |