Di povertà, disuguaglianze, coesione sociale, crescita economica e altri salad bowl ingredients.
di Marina Izzo---14-12-2022 | |
Ringrazio chi ha ritenuto di dover porre al centro dell`attenzione temi delicati e cruciali quali quelli menzionati nel titolo di questo mio piccolo contributo. Prima di entrare nel merito delle questioni trattate, faccio mio il consiglio di Mara e chiarisco quali siano state le fonti che hanno guidato l`elaborazione di queste considerazioni. I database utilizzati sono prevalentemente quelli della Banca Mondiale e dell`OCSE. Oltre ai meri dati numerici, citerò alcuni studi più o meno recenti. Per entrare direttamente in argomento, partirò dalla constatazione che dimensioni quali la sicurezza alimentare, la mortalità infantile, l`analfabetismo, l`aspettativa di vita confluiscono in un unico concetto, quello di povertà (https://www.un.org/en/global-issues/ending-poverty). La povertà è infatti un concetto multidimensionale, con molte manifestazioni, e che, per molto tempo, a livello accademico, e ancora oggi, nel dibattito pubblico, è (stata) convenzionalmente spiegata in termini di assenza/insufficienza di reddito disponibile. Il motivo è che tale dimensione è la più semplice da misurare. A livello internazionale, la definizione comunemente adottata di povertà assoluta (o estrema) è quella coniata dalla Banca Mondiale: quest`ultima fissa la soglia della povertà (poverty line) a 2,15 USD al giorno: le persone che vivono in povertà sono tutti/e coloro i/le quali vivono con meno di questa cifra (https://www.worldbank.org/en/news/factsheet/2022/05/02/fact-sheet-an-adjustment-to-global-poverty-lines). Ma che cos`è la povertà assoluta? E` sostanzialmente l`incapacità di disporre di tutte quelle risorse primarie necessarie per vivere (acqua potabile, cibo, condizioni igieniche accettabili, vestiario, etc). In questo senso, la povertà assoluta non ha un valore comparativo, vale a dire che essa indica una situazione di privazione di un individuo indipendentemente dalla situazione della altre persone (M.Zupi, 2003. Si può sconfiggere la povertà? Bari: Laterza). Eppure la povertà non è un fenomeno fisso nel tempo e nello spazio (Ibid.). E anche questo indicatore rischia di non essere sufficiente per catturare tutte le condizioni di privazione sperimentate dagli esseri umani sia nel corso della storia sia nelle diverse aree geografiche del globo. Ecco che, allora, troviamo un`altra elaborazione di questo concetto: la povertà relativa. A che cosa fa riferimento? Alla carenza di beni e servizi in un`ottica comparata, cioè in relazione al livello di vita medio di una determinata società. Per questa sua natura, appunto, relativa (vale a dire definibile solo in rapporto a un`altra specifica condizione), non si è ancora trovato un indicatore internazionalmente condiviso di questo fenomeno, a differenza di quanto avvenuto per la povertà assoluta. E`però evidente che quest`ultima concettualizzazione della povertà presenta una contiguità molto forte col concetto di esclusione/coesione sociale e di disuguaglianza. Come afferma Zupi: “Oggi in Italia non avere l`automobile, il televisore, il cellulare e il vestito alla moda viene percepito come una privazione di bisogni fondamentali” (Ibid, p.128). Prima di trattare il tema della disuguaglianza e del suo rapporto con il (presunto) dinamismo delle società che la sperimentano al proprio interno, vorrei trarre la prima lesson learned che emerge da questa analisi dei vari tentativi di trovare la modalità di misurazione perfetta del disagio degli individui. Tale lesson learned si può riassumere in una domanda: che cos`è un indicatore? E`il tentativo di rendere misurabile un concetto, che spesso non lo è, in ragione della sua complessità (Bryman A, 2008. Social Research Methods. Oxford: Oxford University Pres ) Per farlo si scompone il concetto stesso (ad esempio, la povertà) in differenti componenti per trovare quelle, tra queste, che siano direttamente quantificabili, oltre che più appropriate per catturarne gli aspetti maggiormente significativi (misuro una parte per poter misurare, o quanto meno generalizzare, il tutto). Quindi, non sempre il numero di fronte a cui ci troviamo ci dice la verità assoluta di un fenomeno, piuttosto esso cerca di rendere questo stesso fenomeno codificabile in termini numerici Ma andiamo avanti e torniamo alla disuguaglianza. Ci sono due indici che comunemente si usano per misurare questa dimensione. Il coefficiente di Gini, e il Palma index. Il primo si basa sul confronto delle proporzioni cumulative della popolazione rispetto alle proporzioni cumulative del reddito ricevuto. Esso varia tra 0, nel caso di perfetta uguaglianza, e 1, nel caso di perfetta disuguaglianza (https://data.oecd.org/inequality/income-inequality.htm). Il Palma index, invece, è dato dal rapporta tra la quota di tutti i redditi percepiti dal 10% delle persone con il reddito disponibile più alto e la quota di tutti i redditi percepiti dal 40% delle persone con il reddito disponibile più basso (https://data.oecd.org/inequality/income-inequality.htm). E vengo ora al punto in questione: le società diseguali sono le più competitive, con una maggiore mobilità sociale? Beh, non sembra. O, almeno, non sembra che ci sia una correlazione diretta tra queste due dimensioni. Il Gini index dell`Italia stimato dall`OCSE nel 2018 è 0.33. (invariato dal 2010, e peggiore rispetto a quello registrato nella prima decade degli anni 2000, con uno 0.31 rilevato nel 2007). Secondo la Banca Mondiale (https://data.worldbank.org/indicator/SI.POV.GINI) l`indice nel 2018 per l`Italia si attesta addirittura allo 0.36 (in peggioramento costante, seppure di pochi punti, se comparato allo 0.34 registrato nel 1984). Più o meno lo stesso dato è riportato dalla Banca in relazione al Regno Unito (0.35), ma quello dell`Italia è un coefficiente migliore di quello registrato per il Chad (0.37 nello stesso anno) e per gli Stati Uniti, che, nel 2018, riportavano un valore pari 0, 41, e comunque decisamente lontano da quello rilevato per il Burkina Faso (0, 47). Ora, affermare, sulla base di questi dati, che c`è una correlazione tra diseguaglianza e dinamismo economico mi pare quantomeno azzardato. La presenza simultanea di due fenomeni (alto indice di disuguaglianza e alta indice di mobilità sociale)spesso non indica alcuna relazione immediata tra questi, e altri potrebbero essere i fattori che possono aiutare a chiarire il dinamismo economico di determinate comunità rispetto a altre. E`un fatto che la stessa OCSE abbia più volte messo in guardia dai pericoli per l`economia globale connessi a questa crescita costante e inesorabile delle diseguaglianze (disuguaglianze all`interno dei paesi, e non più tra paesi, laddove effettivamente sono diminuite). Tra questi spicca la perdita in termini di investimento in capitale umano. Inoltre, secondo l`organizzazione, nella maggior parte dei paesi OCSE, il divario tra ricchi e poveri è al livello più alto da 30 anni a questa parte con il 10% più ricco della popolazione che guadagna 9,6 volte il reddito del 10% più povero. Negli anni '80, questo rapporto si attestava a 7:1, salendo a 8:1 negli anni '90 e a 9:1 negli anni 2000 (OECD, 2015. In It Together: Why Less Inequality Benefits All. Paris: OECD). Tra le cause dirette c`è sicuramente la diminuzione del reddito da occupazione (e, quindi, l`aumento dei working poors, realtà sconosciuta durante i cosiddetti trent’anni gloriosi,e che, invece, ci porta paurosamente vicini a fenomeni registrati durante la prima rivoluzione industriale). Infine, per quanto attiene alla sicurezza alimentare, l`ultimo rapporto della FAO parla chiaro: il mondo sta arretrando nei suoi sforzi per porre fine alla fame, all'insicurezza alimentare e alla malnutrizione. Gli sforzi finora compiuti per il raggiungimento dell`obiettivo di sviluppo sostenibile n.2 (Fame Zero) dell`Agenda 2030 si stanno dimostrando insufficienti di fronte a un contesto più difficile e incerto (aumento dei conflitti, degli eventi climatici estremi, degli shock economici, del costo del cibo) (FAO, 2022. The State of Food Security and Nutrition in the World 2022 Rome: FAO). Insomma, non certo i presupposti per una nuova golden age. | |