Etica e Rivoluzione
di Stefano Minghetti---12-12-2022 | |
Nelle ultime settimane giornali e televisioni si sono occupati a più riprese delle proteste scoppiate in Iran a seguito dell’uccisione di una giovane donna, colpevole di non aver indossato il velo islamico (hijab) in modo corretto, e della conseguente repressione scatenata dal regime iraniano, culminata nelle condanne a morte di alcuni dissidenti. Questi tragici avvenimenti hanno origine da un fenomeno antico, che tende a riproporsi periodicamente nella storia: mi riferisco alla dottrina in base alla quale uno Stato (o un regime) si pone come unica fonte della moralità per il singolo e per la collettività; come decisore, arbitro e giudice assoluto del bene e del male. In altre parole, decide quale debba essere la condotta “eticamente edificante” e in nome di quest’ultima - di cui si considera unico depositario - pretende di educare e, se del caso, punire i propri cittadini. Sappiamo bene quali conseguenze aberranti sono scaturite da una tale impostazione, in epoche e contesti i più diversi tra loro. Dagli auto da fé dell'Inquisizione, con i presunti colpevoli di eresia condannati all’abiura o al rogo, alle donne di facili costumi mandate sulla ghigliottina durante la Rivoluzione francese in nome di un “risanamento dei costumi, base essenziale del sistema repubblicano”. Tale comportamento è proseguito durante tutto il XX secolo, investendo anche il campo artistico. Dall’arte “degenerata” del Terzo Reich, con i tristemente noti roghi di libri di autori i cui valori erano considerati in contrasto con l’ideologia nazionalsocialista, ai numerosi artisti spariti nei gulag, costretti all’esilio o ridotti al silenzio durante il periodo staliniano. Emblematico, tra i tanti, il caso del noto compositore russo Šostakovič, bollato come “nemico della patria” per il solo motivo che una sua opera era stata criticata da Stalin. Da quel momento la sua vita - come ammise lo stesso compositore - resterà segnata da quell’incubo che lo trasformò “in una marionetta, un pupazzo di carta appeso a un filo”. Sopravvissuto al buio abisso del terrore staliniano, dovrà attendere la morte del tiranno per essere riabilitato. Un’ultima considerazione, collegata ai fenomeni sopra ricordati: uno dei tanti motivi per essere contrari alle rivoluzioni - quale ne sia la causa scatenante - è che (quasi) sempre finiscono con l’instaurazione di un regime di tipo dittatoriale. La rivoluzione francese sfocia nel “cesarismo” napoleonico; la rivoluzione russa genera il brutale regime di Stalin. A sua volta, la c.d. “rivoluzione iraniana” ha avuto come conseguenza l’instaurazione di un regime teocratico assolutista che ha decretato il pieno allineamento del paese alla sharīʿa islamica, (re)introducendo norme di stampo medievale, come la pena di morte per l'adulterio e la bestemmia e imponendo l'obbligo del velo alle donne. Un motivo in più, a mio parere, per preferire la strada del riformismo a quella, forse più affascinante ma sanguinaria e piena di incognite, della rivoluzione. D’altronde, come è stato detto, “i cambiamenti veri li fanno i riformisti; i rivoluzionari non sono altro che reazionari sotto mentite spoglie”. | |