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Credo, e la storia in molti casi si è incaricata di darmi ragione, nell' autodeterminazione dei popoli; nello specifico, nelle istanze che germogliano, crescono, si consolidano all'interno di una comunità, e che esprimono un mutamento (evoluzione?) in seno ad una tradizione verso la quale si avverte l'esigenza di riformulare alcuni dei codici comportamentali e sociali, già condivisi o imposti.
Per contro, un approccio top down che mira ad esportare “modelli”, supponendo siano validi a tutte le latitudini e comunque auspicabili tout cort.

E spesso mi sono chiesta: 'Ma noi siamo il top, coloro che elargiscono, provvedono, impongono?'. Non viviamo forse in una società innervata da contraddizioni che, anche quando ci sono note, facciamo difficoltà a disciplinare se non a correggere? La cosiddetta nostra 'civiltà' non verrebbe subito impallinata da un regime autoritario che additerebbe alcune nostre contraddizioni come aberrazioni occidentali, non accettando quindi la nostra presunta ostentata superiorità e usandola invece per rafforzarsi nei suoi convincimenti?

Dopo aver ascoltato le relazioni nell'ambito dell'incontro “L’Iran delle proteste – Un Paese a due velocità”, ringrazio per avermi liberata da qualche senso di colpa.
In particolare il senso di colpa per:
- saper troppo poco di politica iraniana, atteso che non avrei saputo la verità, attingendo le mie informazioni solo dai giornali nazionali di massima tiratura;
- non aver potuto partecipare alla manifestazione di solidarietà con le donne iraniane, per sostenere la loro emancipazione;
- non aver sottoscritto i manifesti di Avaaz per fermare la brutale repressione o fatto sottoscrizioni a Amnesty International, in lotta contro le ingiustizie ed in difesa dei diritti umani nel mondo.

Grazie anche per indurmi a guardare con più indulgenza ai mali della società democratica ed occidentale, che continuerò a voler emendare; alla mia vita che comunque mi sembra già più bella: a due, tre o tante velocità.