231. Consumismo e Valori
di Carlo Corridoni---16-07-2022
Concordo pienamente con Lucia Mastrofrancesco sull'usura rapidissima alle quale sono soggette le proposte che alternativamente vengono presentate dalle diverse Forze politiche ai loro sempre più evanescenti o volubili elettorati. Quindi, come Lei stessa suggerisce, nel citare l'equivoco, che afflisse lo stesso Enrico Berlinguer, vorrei trovare un termine congruo alle effettive difficoltà che incontriamo quali elettori che desiderano scegliere, per accedere consapevolmente all'una o all'altra proposta.
Il termine consumismo, che si riferisce all'accelerazione del ciclo di vita (e di mercato) delle merci, ha oggi una connotazione totalmente negativa soprattutto per i suoi riflessi sull'ambiente e sull'ecologia, mentre negli anni della sua maggiore diffusione - diciamo, gli anni del '68 - evocava l'appiattimento del lavoratore nella sua dimensione produttivistica.
Quando la crescita economica si collegò alle condizioni di alta pressione dei consumi, all'istanza che i lavoratori avessero accesso ai consumi dei loro stessi prodotti, non si parlava di consumismo con accenti totalmente negativi. Anzi, politicamente, da parte della Sinistra, si proponeva di ammettere la partecipazione dei lavoratori alla fruizione degli utili delle rispettive aziende.
Poi, il consumo, si pensò di incrementarlo attraverso la quantità dei prodotti, mettendolo in conflitto con la qualità, la durevolezza, la sicurezza stessa delle merci e degli artefatti; riproducendo fasce di consumi differenziate per i diversi ceti e classi sociali.
Al termine di questo processo di ridistribuzione delle risorse, si avvertirono i primi segni del collasso dell'Economia che adesso affligge il mondo intero, la finanziarizzazione delle produzioni e tutto.
Insomma, il consumo, finalizzato alla generazione di posti di lavoro e di promozione del lavoro genericamente inteso, conserverebbe ancora oggi una sua certa tollerabilità, e qualche politico consumista potrebbe anche venire giustificato, sia pure con molte riserve.
Io ho il sospetto che la patente obsolescenza di molti dispositivi tecnici e organizzativi sia ancora tollerata per conservare il consumismo a livelli di sicurezza, per controllo della protesta sociale.
Il consumismo della politica, invece, non si connette all'eccesso di produzione di idee e proposte politiche via via presentate dai Partiti e Movimenti ai loro diversi elettorati, quanto al rapido consumo di tali proposte per il loro fallimento intrinseco o mutuato da leader improvvisati e incongrui.
Questo genere di consumismo mi pare, quindi, un segno della crisi di Valori che affligge, quale più quale meno, tutte le forze politiche del Paese.
Il Lavoro, mettiamo: è ancora un Valore condiviso? Su quale accezione del termine possono concordare categorie di singoli elettorati?
E poi, la Salute, la Sicurezza sociale, la Proprietà, la Cultura, l'Istruzione. La Patria?
Poi, bisogna pure osservare come le diverse forze politiche, nell'intento di attrarre dalla loro parte gli elettorati contigui, peschino nelle aree d'incertezza e nella scarsa approssimazione concettuale dei c.d. Valori fondanti.
Mettiamo ancora il Lavoro: conta, il Lavoro, come Posto di Lavoro, col suo stipendio e garanzie connesse, o quale Processo di Trasformazione che inserisce l'esercente nella Società in cui vive? Conta per la Dignità che conferisce o Viene conferito a chi dimostra di esserne già degno?
Ecco, nel concludere col timore che i Valori di riferimento della nostra società - più che consumati - siano stati sempre meno praticati dalle Forze politiche, col risultato che i rispettivi elettorati trovino difficoltà a riconoscerli, propongo che il Consumismo della politica si identifichi con l'Incertezza dei Valori fondanti.
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