Dalla parte dei piagnoni/e
di Marina Izzo---13-05-2021 | |
Caro Alberto, no, non mi sono mai sentita discriminata in quanto donna all’interno dell’Associazione. Né penso fosse questo ciò che comunicava il contenuto del mio articolo. Tuttavia la modalità con cui sono stati scritti gli interventi, che si sono succeduti al mio, ripropone (tristemente) una classica dinamica che si produce in tutti gli ambienti, anche quelli apparentemente più evoluti e illuminati, quando una donna esprime un’opinione (seppure in forma provocatoria) che non sia allineata con quella di un uomo o più uomini di quell’ambiente (in tal senso, ti invito a rileggere attentamente le ultime righe del tuo articolo che, per me, sono state alquanto chiarificatrici). Per quanto riguarda l’articolo di Carlo (Mari) mi sento di dire che, a mio avviso, ciò che è ingenuo sia pensare che siccome, soprattutto a livello giornalistico, ci sono uomini che prendono posizione contro le discriminazioni subite dalle donne, tutto ciò produca (o comunque faciliti) un cambiamento significativo nella società o, più specificamente, nella quotidianità delle donne comuni. Non mi pare sia così. Altrimenti le cose sarebbero già cambiate. E da quel dì. Da quanto tempo si parla di pari opportunità? Da 40-50 anni? Purtroppo è la realtà stessa che ci dimostra che tutto ciò è ancora lontano dall’ essere raggiunto e non (mi dispiace deludere qualcuno) una mia personale convinzione. Se così non fosse, molte cose sarebbero diverse: le dinamiche di coppia sarebbero diverse, le dinamiche sociali ed economiche sarebbero diverse. Lasciatemi poi sorridere quando sento che si menzionano gli uomini che si spendono per la parità di genere nei partiti politici. E’ di poco tempo fa la triste, tristissima, vicenda che ha riguardato il maggiore partito della sinistra italiana, a cui quando è stato chiesto di esprimere le proprie candidature per alcune cariche istituzionali, non ha indicato nessuna, dicasi, nessuna donna. Eppure, a parole, sono tutti uomini molto progressisti, alcuni quasi si definiscono femministi (spero di nuovo che nessuno si urti, ma io diffido profondamente degli uomini che si definiscono in questo modo, che, invece, generalmente sono i più subdolamente sessisti). Mi si chiede se sia il caso di fondare un gruppo femminista composto da uomini? Perché no? Secondo me, se veramente volete dimostrare che questa questione vi sta a cuore, un’azione del genere non solo sarebbe utile alla “causa”, ma soprattutto a voi. Gruppi all’interno dei quali non dovreste tanto discutere di noi, ma di voi stessi, delle costruzioni culturali della mascolinità che intrappolano e schiacciano (qui sono d’accordo con te, Carlo Mari) anche voi. Il punto è il che più delle volte a me sembra che preferiate dire a noi come dobbiamo portare avanti le nostre battaglie, piuttosto che “decostruire” le forme di potere e di privilegi di cui godete in quanto uomini. Io mi fermo qui, sperando che tutto ciò non sia considerato eccessivamente piagnone. | |