Caos nel Mediterraneo
di Rosy Ciardullo---15-03-2021 | |
Mi piacerebbe sapere se qualcuno si pone qualche domanda sul futuro del Mediterraneo sotto un profilo di politica estera e su quello che già sta succedendo adesso. Dall'esterno si coglie l'atteggiamento rivendicativo dei paesi del Nord Africa che si affacciano sul mare, la densità dei traffici, gli strappi prepotenti per nuove zone di influenza e tentativi di espansione. Tutte operazioni condotte quasi alla luce del sole e condite di provocazioni. Il silenzio del Governo è incomprensibile, quasi che non fosse chiaro che stiamo al centro del Mediterraneo. Dovrebbe invece essere un asset strategico della nostra politica estera, perché le acque di questo grande Mare contese da più parti, sono i nostri confini a Sud, lambiscono le coste per oltre 8300 chilometri. Le popolazioni del Nord del paese hanno come confini naturali le catene montuose delle Alpi, ed hanno lo sguardo rivolto all'Europa, con cui condividono interessi socio-economici, interscambi e culture montanare. Al Centro ma soprattutto al Sud il rapporto col mare è più intimo, remoto ma è anche un' incognita, un tuffo nell'ignoto. Da molti anni, però il mare non è più solcato solo dalle onde e dai pescherecci nostrani. E da qualche sparuta nave della Marina Militare. E dalle Ong che portano in salvo i rifugiati spesso naufraghi che provengono soprattutto dal Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania e Ciad) dalla Tunisia e dalla Libia. Le nostre coste non presidiate in nessun punto di sbarco, sono luoghi di attracco in stile clandestino, per immigrati meritevoli di accoglienza o Jihadisti infiltrati, mentre i paesi del Nord Africa, i nuovi protagonisti, procedono con l'accaparramento di tratti di mare, ormai definiti Zone economiche esclusive, anche arbitrariamente rispetto al mare libero che magari sarebbe nostro. D'altronde, dall'altra parte del mare si affacciano popolazioni giovani e belligeranti che chiedono spazi e risorse, mentre in Europa e soprattutto in Italia, si sono innestate attitudini di attesa, ipocrita tolleranza e sgomento, e una vera assenza di consapevolezza geopolitica che rasenta quasi l'irresponsabilità. La gravità di questa latitanza politica e di insufficienza di visione è contraddetta paradossalmente dall'atmosfera di riarmo che è ormai diffusa in tutto il quadrante medio medio orientale e nord africano. Dal tempo delle primavere arabe, che infiammarono, dal 2010/2011 , tutta l'area del Maghreb per le proteste dei giovani contro le oligarchie corrotte al potere, nessuna richiesta è stata soddisfatta e i problemi socio-economici che furono la molla delle rivolte sono rimasti gli stessi. Adesso premono sui nostri confini a Sud . L'Italia è al centro di questa spirale nel nostro estero vicino. In particolare la Sicilia. Un'isola sospesa in un limbo tra il resto della penisola e la costa africana da cui dista una mangiata di chilometri. Con una cultura non statalista, vive all'ombra dei notabili e dei colletti bianchi infiltrati dalle mafie, mentre respira come sempre un'aria di attendismo, rassegnata ad essere amministrata dal governo regionale che redistribuisce, tra i soliti, i trasferimenti statali. Nell'area medio orientale in fermento, dopo il vuoto lasciato dagli USA nel 2013, al tempo della guerra in Siria, e della guerra in Libia, nuovi attori, Russia (Cirenaica) e Turchia (Tripolitania), hanno esteso la loro egemonia cogliendo nuove opportunità di espansione sui mari e l'accaparramento di maggiori risorse. Petrolio soprattutto che continua ad alimentare un fervido mercato, stimolato dagli affari dei jiadisti e dei dittatori che mercanteggiano alle spalle delle popolazioni africane. In un'atmosfera di surriscaldamento generale, da parte italiana, si coglie appena qualche balbettio imbarazzante solo quando succede qualcosa di grave come gli incidenti diplomatici di cui è costellata la storia del paese negli ultimi anni. L'Egitto si è permesso di incarcerare senza tanti scrupoli un paio di studenti che studiavano nelle nostre Università, ha assassinato Giulio Regeni giustificandosi con banali bugie. La Libia ha trattenuto per molti mesi 18 pescatori siciliani liberati solo dopo l'intervento del Presidente Conte. In ultimo, in Congo, a nord di Kivu, il 22 febbraio di quest'anno, è stato ucciso l'Ambasciatore italiano Luca Attanasio e la sua scorta. Quello che sbigottisce è la certezza dell'impunità di chi guida la mano di chi compie queste azioni criminali a danno del nostro Paese. L'Italia è nel mirino. Ed è la porta di ingresso dell'Europa, e dovrebbe muoversi in parte con una strategia combinata con essa , in particolare insieme a Francia e Inghilterra già presenti in terra africana, ed in parte, almeno tatticamente in proprio. Magari iniziando a dotare la nostra Marina Militare , una volta la migliore d'Europa adesso al terzo posto, dopo Francia e Inghilterra, di una nuova flotta e strumenti adeguati per monitorare e pattugliare gli spazi marini, popolati da flotte, navi e flottiglie straniere che accampano diritti e si appropriano di spazi, pronti a guerreggiare con azioni provocatorie. Con l'obiettivo di ottenere perimetri più ampi nel grande mare Mediterraneo, anello di congiunzione tra Oceano Atlantico e Indo-pacifico da Suez. | |