Cini Boeri, ovvero del cognome delle donne
di Mara Gasbarrone---10-09-2020 | |
A che cosa serve insistere tanto (dalle femministe) sulla necessità di usare termini declinati al femminile e inconsueti come sindaca e ministra, anziché continuare ad usare per le professioniste il solito, familiare, “maschile universale” di sindaco, ministro, medico e avvocato? Il linguaggio, dopotutto, sarebbe qualcosa di secondario. Non solo, ma molte donne “arrivate” si sentono un po’ ridicolizzate dall’uso di termini inconsueti, e preferiscono il maschile, percepito come più serio e autorevole. Tanto più che qualcuno insiste a proporne versioni fantasiose come “presidentessa” o “presidenta” (alla spagnola), quando basterebbe ricordarsi che la desinenza del participio presente non si declina, e basterebbe evitare di designare una donna come “il” presidente, quando correttamente lei è “la” presidente (di Confindustria, della Camera, della Consulta, ecc). Vedasi Marcegaglia, Boldrini, Cartabia, e così via. Eppure, il linguaggio è importante, e il linguaggio cambia. Che le strade siano intitolate solo a illustri e meno illustri maschi generali, artisti, sovrani e solo a rare donne, preferibilmente madonne, vergini e martiri, può solo trasmettere alle bambine un senso di inadeguatezza e vulnerabilità e simultaneamente ai bambini una falsa sicurezza. Dunque, il linguaggio è importante, eccome ! Non solo, il linguaggio è cambiato. E qualche volta, anche per effetto di una legge. L’ho realizzato stamattina, leggendo il giornale. Un articolo parlava della scomparsa di Cini Boeri, una importante architetta e designer milanese, fra l’altro madre di due “nomi” della sinistra milanese come Tito e Stefano Boeri. Boeri era il cognome del marito, trasmesso ai figli, cognome con il quale è stata conosciuta per decenni. Ebbene, quale donna oggi usa il cognome del marito? Sul lavoro si viene costantemente identificate con il proprio cognome di nascita. Complice, se vogliamo, la crescente instabilità matrimoniale, che renderebbe precario il cognome di riferimento. Ma la riforma del diritto di famiglia, già dal 1975, all’art. 143 bis prevede che la moglie aggiunga al proprio il cognome del marito, senza perderlo, come avveniva prima. Quindi l’uso cambia, per tante e diverse ragioni. E continuerà a cambiare. | |