'Ciò che non saremo, ciò che non vorremo'
di Carlo Mari---02-04-2020 | |
“PREMESSA” Visto che in generale siamo bloccati a casa, mi permetto di articolare un pacchetto di riflessioni. E di possibili temi per i futuri dibattiti della nostra Associazione. Sperando di non annoiare. Volendo, il tutto leggibile a puntate !!!!! Per questo è scansionato graficamente in paragrafetti. Del resto avrete tante alternative di lettura. Quindi sto tranquillo. Semmai mi bypassate…e via! ------------------------------------------------------ “IL FARE E L’ESSERE” Ad una calamità, una epidemia, una tragedia sociale credo sia importante rispondere con la calma e la responsabilità. Se ci si riesce. Non – come purtroppo accade - con la compulsiva caccia h24 al video più fantascientifico e fantapolitico oppure alle analisi sofisticate di esperti – spesso presunti – che meglio supportino di volta in volta una nostra ricerca ansiosa di luce oppure un’autodistruttiva voluptas dolendi. Un vero tsunami social- mediatico. E certo non rispondere con la frenesia, nella sua dicotomica declinazione della depressione o dell’iperattivismo. Proviamo a non reagire con la centralità del “fare”, in qualunque modo indirizzato, senza darsi i tempi per riflettere. Il che fa male, e forse è esso stesso in parte causa sociale della crisi antropologica, soprattutto occidentale, che il virus ha fatto emergere, come un iceberg di cui prima si vedeva solo la punta. Il fare sostitutivo dell’essere. Non sembra un granché come scelta. “LA CLASSE DIRIGENTE” Anche il polemizzare col Governo e col Premier Conte (e lo dico proprio perché Conte non lo apprezzo per niente, da quando è inopportunamente comparso sulla scena politica italiana, ennesimo guaio brevettato cinque stelle) in questo momento mi sembra troppo facile. Qualunquistico e poco opportuno. Vigilare sì, cercar di capire sì; accrescere i problemi con spaccature no. La situazione sta mettendo in difficoltà indistintamente tutte le classi dirigenti internazionali. Ci sarà, speriamo in tempi ragionevolmente brevi, il momento del diritto/dovere di valutare come la epidemia sia stata governata o non governata; e di tirare le somme, e di giudicare (anche nella cabina elettorale) la classe dirigente. Ma, sia chiaro, la classe dirigente in senso lato, non solo quella politica. Anche quella “amministrativa”, imprenditoriale, sindacale, “intellettuale”, sia essa impegnata nei media e nella comunicazione, sia essa quella degli scienziati. Parlo di scienziati, non di medici, che sono solo da ringraziare dal profondo del cuore. Ma degli “scienziati” – lo confesso; rispettosamente - possiamo anche sentirci un pochino (un pochino??) delusi, per gli eccessi di mediaticità, di conflittualità similpolitica, e anche di incertezze (tante), o al contrario di “sparate” compulsive (tante), nel valutare la situazione, e la particolarità italiana e lombarda – se c’è. Molte cose, a bocce ferme, dovranno essere studiate, capite e spiegate. E conseguentemente valutate poi da tutti, ciascuno al proprio livello di responsabilità sociale: dagli esperti ai dirigenti, ai comuni cittadini. Perché la sensazione è che la confusione, non solo politico/gestionale, ma proprio scientifica - virologica, epidemiologica, ed anche statistica – sia stata e sia grande. Ma tanto tanto grande. “IL RESET” In questo scenario, credo che una sola certezza possiamo avere (parafrasando Eugenio Montale): “ciò che non saremo, ciò che non vorremo”. Dopo il Covid19 nulla sarà più come prima. Dopodiché, mi potreste obiettare che siamo anche capaci di riprendere il viaggio come se nulla fosse – o quasi. Però ho l’impressione che questa volta non riusciremo a sottrarci tanto facilmente alla necessità di un ripensamento di noi stessi, come collettività e come singoli. E che un po’ tutto sarà da resettare. E il reset, come ben sanno gli informatici, non è pura manutenzione: è ristrutturazione, e ricodificazione. In molti campi, personali e collettivi, dovremo riordinare idee, comportamenti e priorità. E soprattutto senso della misura. Già, la misura delle cose. E nelle cose. “LA TECNOLOGIA” Prendiamo la tecnologia, che da questa vicenda uscirà giustamente vincente. Una risorsa irrinunciabile, da metabolizzare e sviluppare. Pensiamo solo se in questa crisi da isolamento non avessimo i cellulari, con le varie applicazioni più diffusive. Ma appunto, misura DELLE e NELLE cose. La tecnologia compulsivamente eletta oggi a sola e unica salvezza del mondo, anche da chi non distingue uno scrolling da una macchia di sporco sullo schermo del PC !! Keep calm, please. Mi fa tanto pensare a quei cittadini che oggi esaltano – senza pudore - la urgenza e insostituibilità epocale dei vaccini dopo essere stati per anni ferventi no vax. La tecnologia è fantastica. Ma non può sostituire l’uomo: può e deve aiutarlo, fortissimamente. Ma non sostituirlo. L’esperienza che stiamo vivendo ci fornirà grandi insegnamenti, anche in questo campo. E forse ci rafforzerà, come individui e come collettività. Ma equilibri, please. Per un umanesimo tecnologicamente superdotato. Ma umanesimo. “LA SCUOLA” Pensiamo alla tecnologia della didattica a distanza. Sta aiutando la scuola nel presente, e con essa la scuola dovrà andare verso il futuro, anche ad epidemia arginata. Ma non come sostengono i cantori delle classi rovesciate, anzi ormai delle scuole rovesciate, e della distanza fisica intergalattica fra docente e discente. Non dimenticando dunque il senso vero, socratico, di una comunità educativa operante in presenza e basata sulla relazionalità: tra persone. Sarà bene riaprire una buona volta – dentro la scuola, ma molto anche fuori – un dibattitto ed una riflessione sulla didattica in quanto tale, sui suoi aspetti pedagogici e formativi, sul trovarsi di fronte persone diverse alle quali, con approcci “affettivi” incentrati su metodi e strategie educative varie, garantire il diritto allo studio: o meglio, all’apprendimento. L’uomo, nella sua capacità di progredire (storicamente comprovata), si servirà sempre meglio della tecnologia, non se ne farà sostituire. Ci contiamo. Oggi come oggi la tecnologia della didattica a distanza sta aiutando enormemente tanti; ok, bene così. Ma - tanto per segnalare un problema - là dove c’era un solco sociale fra discente e discente,beh purtroppo là sta creando un baratro. “IL LAVORO” E così, mutatis mutandis, anche nel mondo del lavoro: quello della produzione oppure quello – variegato e ormai iperstrategico - dei servizi. Governare a tutti i livelli il mondo del lavoro con una cassetta vecchia degli attrezzi, dal punto di vista politico, sindacale, imprenditoriale, tecnologico e persino antropologico non dovrebbe più essere possibile. Non siamo nell’Ottocento, e nemmeno nel Novecento. Credo sarà indispensabile definire politiche trasversali secondo classificazioni nuove che colgano la interconnessione DEI e NEI problemi, a livello interno di un paese ed a livello internazionale. Parlare ancora in termini di politiche economiche, sociali, ambientali, fiscali, culturali ecc., a compartimenti definiti e accademici, appare strumentazione superata. Se i problemi sono tutti trasversali, interconnessi, occorre ragionare e progettare secondo categorie politiche nuove, e trasversali: protezione, prevenzione, promozione, innovazione e ricerca ecc. ecc . E servirà resettare il lavoro dal punto di vista tecnico e sociale: ad esempio il rapporto fra lavoro in presenza e home working; le dinamiche relazionali fra datore di lavoro e lavoratore (nel pubblico e nel privato, nella piccola, media e grande dimensione). Occorrerà ripensare al profilo del lavoro dipendente ed a quello – variegatissimo – del lavoro autonomo. E a quello, poco indagato e conosciuto, e sostanzialmente ignorato sul piano normativo, dei lavori di servizio alla persona e di cura: colf, badanti, baby sitter, assistenti sanitari o parasanitari, riders, corrieri; e operatori commerciali “mobili”; operatori mobili individuali all’assistenza tecnologica a privati; operatori nell’assistenza amministrativo/gestionale familiare (per lo tsunami di pratiche che piomba ogni anno sul cittadino; o la pratica del noleggio a lungo termine di beni funzionali alla vita quotidiana) ecc. . Se il vissuto quotidiano delle persone è cambiato – e tanto più cambierà dopo questa violenta crisi sanitaria – non si può ignorare né bypassare sul piano normativo, contrattuale e sociale, il ruolo strategico di queste figure del mondo del lavoro da società 4.0. E bisognerà più in generale riprofilare la dicotomia socioeconomica del lavoro: produzione e servizi. La interconnessione funzionale appare ormai imprescindibile e inestricabile. Tanto da doverci forse domandare se abbia ancora senso parlarne – e graduare quanto a ruolo strategico - come due compartimenti stagni del mondo del lavoro. E’ lavoro. E’società. E’ vita. E la vita è un organismo coeso, interconnesso nel suo interno. Se va in crisi una parte, coinvolge l’insieme. Se c’è una cosa sacrosanta che, mi sembra, abbia detto il Premier Conte in uno dei suoi tanti drammatici discorsi/soliloqui della sera, è questa. Individuare le filiere del lavoro cosiddette essenziali, per decidere quali chiudere e quali no: vi pare facile? E – forse - corretto? Sono talmente interconnesse una all’altra, che distinguere diventa una forzatura logica; e socioeconomica. Certo è una necessità pratica durante una epidemia. Ma per cortesia, almeno di questo prendiamo atto compattamente come comunità: il farlo è una cosa ai limiti dell’impossibile. E dell’illogico. Le esibizioni polemiche cattedratiche, o di piazza, danno sempre fastidio, ma in questo caso...sono fuori dalla realtà… e dalla storia. “ LA RELAZIONALITA’ ” E pensiamo poi al ruolo dello stare insieme, di persona. Un abbraccio, un augurio, un saluto virtuali sono importantissimi. E li pratichiamo ormai quotidianamente. Io per primo. Ma le stesse cose fatte di persona, guardandosi - e toccandosi - sono altra cosa. Un film, una partita, uno spettacolo, un concerto seguiti in casa sono una grande risorsa, irrinunciabile; un’arma potente e colta e democratica, anche contro la solitudine. Ma seguiti di persona, in situazione, in mezzo agli altri sono altra cosa. E di questo forse avevamo perso consapevolezza. “LA MEMORIA E LA STORIA” E poi il senso della memoria, direi della storia. Sprofondati nel presente e nel contingente, i grandi eventi della storia ci sembrano lontani, quasi inverosimili e persino “negabili”: una fiction. Ora saremo noi stessi portatori della narrazione di un vissuto che è storia. La storia dell’uomo: altra cosa che cambierà. La percepiremo in profondità come storia – sì - di grandezze, di genialità, di megainteressi e megadinamiche, ma prima di tutto come storia di fragilità. L’uomo è grande soprattutto quando si rende conto di essere fragile. Ed ora questa consapevolezza difficilmente ci potrà essere tolta. Purtroppo. O fortunatamente. “LA POLITICA” E la politica, i suoi paradigmi, i suoi valori. La democrazia in primis. Rimessa in discussione, rispetto ad altri e ben diversi modelli. Non è la prima volta che le capita, ma questa volta rischia davvero grosso, perché di fronte alla salute – giustamente - non sentiamo ragioni. Sì, ancora una volta la democrazia dovrà farcela, pena lo smottamento verso concezioni illiberali, acclamate a furor di popolo (o di populismo); Ungheria docet. Pensiamo alla crescita di credito di paesi come la Cina, la Corea del Sud, forse la Russia (ormai più indecifrabile della Cina). Ma con tutto il rispetto per questi grandi popoli, beh il loro percorso è su altri binari. Da tutti c’è sempre, assolutamente, da imparare. Con rispetto ed umiltà. Ma la democrazia è un’altra cosa. Atene era altro da Sparta. Magari perdeva le battaglie. Ma alla fine vinceva la guerra. Però la democrazia dovrà interrogarsi, ripensarsi, rinnovarsi: nel profondo. “L’UNIONE EUROPEA” Così come dovrà interrogarsi e rinnovarsi la Unione Europea. Senza frettolose o superficiali condanne, perché ad un suo ruolo economico positivo, superiore a quanto appaia o le venga riconosciuto, sta pur assolvendo. Però l’Unione esce molto male dal punto di vista antropologico/culturale. Non c’è l’Europa - quante volte era stato detto - se non c’è un comune sentire valoriale, ed umano. Ed invece in questa epidemia, fra un popolo europeo e l’altro sembrano emergere solo chiusure, egoismi, estraneità e mai superate o sopite rivalità storiche. E persino antipatie! Senza retorica, ma sembrano emergere più vicinanze umane fra europei – in ordine sparso – e popoli extraeuropei, che fra europei ed europei. E senza questo, non c’è Patto di Stabilità che tenga, non c’è MES o Schengen che tenga. La Unione si sfalderà. E lo dico da europeista convinto, da innamorato della Francia, della Germania, della Gran Bretagna, della Spagna, della Grecia, della Svezia. In questa drammatica vicenda, ognuno per sé, e contro gli altri. Male male, l’Europa, al tempo del Coronavirus. “L’ITALIA” E nel suo piccolo – o forse grande – profilo, il discorso vale anche per l’Italia. Da una parte marchiamo (e già da prima dell’epidemia) uno sbandamento – anche molto dilettantesco e avventuroso – nel posizionamento del nostro paese nello scacchiere internazionale, quasi trasmettendo l’impressione di esserci messi all’asta al miglior offerente quanto a strategie di alleanze – o subalternità - politiche ed economiche. Dall’altra sul versante interno stiamo trovando difficoltà evidenti ad essere – e a muoverci – sia come stato unitario che come stato similfederale. A questo punto non siamo né carne né pesce. Problema da affrontare. Qualcuno nel 2016 questo ed altri problemi di assetto e modernità delle Istituzioni li aveva posti ed affrontati. Ma era antipatico (sic) e progettava una deriva autoritaria !!! Beh, ormai non mi interessa più se allora in quel fatale 4 dicembre 2016 gli italiani e l’establishment politico e intellettuale di sinistra, di destra e di centro, in ampia maggioranza, abbiano fatto bene o male a fermare il tutto. Ormai non me ne frega proprio niente. Quel che è stato, è stato. Ognuno avrà avuto le sue responsabilità. Ma oggi dobbiamo guardare avanti. E davanti a noi il Coronavirus - tra le tante cose - ci ha indicato UNA STRADA INELUDIBILE: la razionalizzazione ed innovazione delle Istituzioni della nostra cara, vecchia, logorata Repubblica. Punto “DIRITTI E DOVERI” Così come in un unicum problematico, bisognerà ripensare al rapporto diritti/doveri, a cominciare dalla compartecipazione sociale di tutti – di tutti, evasori fiscali compresi – alla costruzione di un welfare solido, moderno ed equo. La lotta alla evasione non deve più essere un mantra da ripetere solo strumentalmente da parte dei partiti, oppure dai cittadini che furbescamente cercano di crearsi un alibi per le proprie grandi o piccole evasioni. Non vogliamo arrivare a dire, come fece l’ingenuo Tommaso Padoa Schioppa, che tasse è bellezza? Ma almeno che tasse è equità e pubblica tutela lo vogliamo dire? E praticare? Tutti? O no? Il Welfare è una priorità, per uno stato moderno ed equo. E Welfare vuol dire prima di tutto – PRIMA DI TUTTO – salute: fisica e mentale. E quando si parla di salute mentale, si allude anche – e tanto – alla istruzione. Dovrebbe esser chiaro, una volta per tutte. Una volta per tutte. E bisognerà ripensare ai concetti ed al ruolo insostituibile del merito, delle competenze, della cultura, della scienza, della ricerca: e del PIL. Senza mediazioni al ribasso, demagogiche e manipolatorie, da uno vale uno. Senza compromessi, a nessun livello, con i vari populismi – autoritari o antielitistici - ai quali non si possono fare sconti, nemmeno tattici. Perché poi li paga quel popolo i cui interessi a chiacchiere si afferma di voler difendere. “SCENARI, SHOCK E ….PSICOLOGIA” In questi mesi il vissuto emergenziale del presente fa premio su tutto. Giustamente. E facciamo tutti una gran fatica a pensare in termini di prospettive, di progettazione, di futuro. Quando sei schiacciato drammaticamente sul vissuto quotidiano, non ti si può chiedere anche di disegnare scenari futuri. Ma almeno due cose credo vadano metabolizzate. 1. Il passaggio che stiamo vivendo è epocale, e quindi imporrà, volenti o nolenti, un impegno di riprogettazione – individuale e collettiva – appena sarà possibile. 2. Tuttavia a livello di classe dirigente e di ceto intellettuale esistono figure, competenze e ruoli nell’universo delle professioni, classiche e moderne, per “profilare scenari”; e qualcuno questo impegno e questo compito dovrebbe cominciare subito ad affrontarlo. Anche per dare ai cittadini il senso psicologico di una prospettiva, di un minimo di governo strategico della situazione, e non di un angosciante, iperdifensivo – e quindi perdente – inseguimento di ciò che accade momento per momento. Tutti fermi, chiusi, e distanziati… in attesa che il virus decida di ritirarsi, ormai sazio ! ! Ok. Va bene. Ma basta così? Come ha scritto l’economista ex ministro Enrico Giovannini, 'Non pensare solo a gestire emergenza, ma attraverso esperti ad hoc preparare il rimbalzo. Consapevoli che il futuro sarà pieno di shock'. Aggiungerei: non saranno solo shock economici (durissimi). Saranno anche shock psicologici, collettivi ed individuali. Non sottovalutiamoli, perché saranno altrettanto duri e condizionanti la vita di persone e comunità. Come ben li raffigura la giornalista Paola Peduzzi su “Il Foglio”, saranno una danza molto complessa, potenzialmente stimolante come in un sogno di nuova primavera, ma se governata male ed in modo iniquo, potrebbe trasformarsi in una danza macabra. Avete presente la Unione Europea? Tutti contro tutti? Beh, potremmo diventare così anche come persone: tutti contro tutti. Dunque scenari a lungo termine; ma anche scenari a medio e breve termine. Un esempio concreto, interessante e pragmatico avanzato su qualche media ? La riconversione, almeno temporanea (invece della semplicistica chiusura secca) della ristorazione in servizio domiciliare alle famiglie che affianchi la catena commerciale degli esercizi alimentari. Sarebbe intervento sociale, economico, occupazionale, sanitario ed umano funzionale e rilevante. Credo che insegnamenti e cambiamenti enormi da questo evento storico ne deriveranno. Ma per saperli affrontare, un minimo di preparazione bisognerà metterla in campo. Poi starà come sempre all’uomo saperli indirizzare. Dando tempo al tempo; o almeno, se mi passate la battuta, dando qualche mese ai mesi. Ma dentro questi mesi, almeno chi ne ha compito e strumenti, ed è a tal fine socialmente investito – e lautamente retribuito - si faccia venire qualche idea. Poi ogni cosa ha i propri tempi, di codifica e decodifica, emissione e ricezione. E metabolizzazione. Uno scenario frenetico fatto di artificio, e di retorica, persino nel buonumore e nella speranza, è scenario di tragedia, non di commedia. E’ Euripide, non Aristofane. Ma anche uno scenario di calma piatta, puramente difensiva, è di tragedia, non di commedia. Allora stiamo calmi. Ripieghiamo tatticamente un pochino su noi stessi. Ma traguardiamo gli obiettivi “con un prudente apprezzamento”…….tanto per mutuare un principio comportamentale “vincente” dal linguaggio giuridico e da quello strategico/militare. Buona resilienza a Tutte/i | |