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Il virus sempre cattivo è
14-10-2020
'Il virus è clinicamente morto': chi non ricorda l'incauta profezia di Zangrillo, che rivendicava il primato della sua esperienza clinica contro quelli che si gingillavano coi numeri? Poiché ci sono abbondanti prove che non sia morto, non perderemo tempo a confutarlo. Una seconda affermazione gira incontrastata, e ci permettiamo di sollevare qualche dubbio: che il virus sia diventato più buono, o che noi nel frattempo siamo diventati più bravi a curarlo ('se Berlusconi si fosse ammalato a marzo, sarebbe morto', ipse dixit). In parte sarà anche vero. Però bisognerebbe affermarlo a parità di composizione dei malati. Perché se cambia la qualità dei casi positivi, cambia per forza anche la possibilità di sopravvivenza. Soprattutto per una malattia che ha esiti molto diversi secondo l'età e secondo il sesso dei positivi.

Il 13 ottobre scorso, l'età media dei 53 mila contagiati nei 30 gg. precedenti era di 42 anni. Buon per loro, perché rischiano relativamente poco, al contrario di chi ha superato i 70. Abbiamo messo insieme un po' di numeri disponibili sul sito dell'Istituto superiore di Sanità (qui linkato il più recente dei Bollettini della sorveglianza integrata, i precedenti sono un po' difficili da reperire). Le prime tre righe sono pubblicate dall'ISS e mi sono limitata ad accostare le osservazioni di tre momenti: all'inizio dell'epidemia (fine di marzo, con 6.800 morti), dopo il mese di aprile, quello più cruento quando i morti arrivarono a 25 mila, e infine il dato più aggiornato di ottobre (36 mila morti). Il tasso di letalità riferito all'intera “popolazione” dei casi diagnosticati sale dal 9,2 per 100 della fine di marzo al 12,6 per 100 un mese dopo, e scende (non di molto) all'11% al 9 ottobre. Trattandosi di dati cumulati, che si riferiscono all'intero periodo dell'epidemia, sarebbe difficile osservare variazioni più ampie, perché il peso del passato ne appiattisce le oscillazioni.



Nella parte alta della tabella, si può vedere la nota differenza fra uomini e donne, con le donne che resistono meglio alla malattia. La parte più interessante – secondo me – consiste nella due righe in basso. I 70 anni sembrano un vero e proprio spartiacque fra “rischio basso” di morire, intorno al 2-3 per 100 dei positivi meno che settantenni, e rischio molto alto, per chi ha superato i 70 anni. Rischio addirittura crescente, dal 20% di fine marzo al quasi 30 per 100 di ottobre. Come si fa a dire che si muore di meno?

Semplice, chi lo dice non perde tempo a guardare le statistiche. Se lo avesse fatto, avrebbe visto che i fragili ultra 70enni costituivano il 37,6% dei “tamponati” positivi a fine marzo e il 40,4 a fine aprile, mentre sono scesi al 31,6 ad ottobre (ma sicuramente sono stati molti di meno fra gli ultimi positivi, visto che la percentuale si riferisce a tutto il periodo dell’epidemia).

Detto in altre parole, ma il concetto è lo stesso, i positivi meno che 70enni sono aumentati da fine aprile ad inizio ottobre dell’88%, contro un aumento molto più contenuto dei positivi con oltre 70 anni, che sono aumentati solo del 29%. Ovvio che al pronto soccorso sembrano presentarsi casi meno gravi, ma non perché il virus è più buono, solo perché si sono contagiati quelli più giovani, e quindi più dotati di capacità di resistere.