|
Dove stiamo andando col coronavirus?
17-09-2020 |
Davanti al consueto diluvio di numeri abbondanti e poco significativi, la vostra “piccola epidemiologa” si sente costretta a rimettersi (svogliatamente) in attività, per tentare di capirci qualcosa. Essendo svogliata, almeno all’inizio, si appoggia a chi ne sa più di lei: la Fondazione Gimbe, che continua indefessa il suo monitoraggio, facendo “parlare” i numeri della Protezione civile, che come tutti i numeri, da soli parlerebbero molto poco. Dove possibile, faremo un confronto (non del tutto rassicurante, preparatevi) fra Lombardia e Lazio. Casi “attivi”: cioè quanti, positivi al tampone, non sono diventati ancora “ex-malati” in quanto guariti o deceduti. In Lombardia i casi attivi sono oggi (17 settembre) 8.934 e nel Lazio 5.283. Stiamo meglio nella nostra regione? Assolutamente no, perché la popolazione della Lombardia è molto più numerosa del Lazio. Conclusione: le due regioni hanno lo stesso rapporto di casi attivi su popolazione: 0,9 per 1000 abitanti. Anzi, se si introduce qualche altro decimale, il Lazio sta leggermente peggio. Sono aumentati molto i tamponi, rispetto a qualche mese fa. Secondo gli ottimisti, questo basterebbe a spiegare l’aumento dei contagi: cercando di più, se ne trovano di più. Ma il rapporto positivi/casi testati, dice Gimbe, è passato dallo 0,8% al 2,7%. Quindi, il virus continua a circolare vigorosamente. Tra l’altro non si capisce perché un indicatore così semplice non venga fornito tutti i giorni, costringendoci a faticose e spericolate discussioni su “ci sono più contagi perché più tamponi, oppure no?”. Poi, la punta dell’iceberg: le terapie intensive. Per tutto luglio e agosto, c’erano massimo 70 persone (erano scese a 40 tra fine luglio e inizio agosto). A metà settembre, sono rapidamente arrivate a 200. Lo strato immediatamente sotto, quello dei ricoverati con sintomi, in estate fermi ad un minimo di 750, veleggiano adesso sopra i 2.200. E sapete quale regione ne ha di più? Il Lazio (con 453 ricoverati), che supera abbondantemente la Lombardia (263 ricoverati) pur avendo una popolazione molto più piccola (neanche 6 milioni, contro oltre 10 milioni). “Nelle ultime due settimane – aggiunge Nino Cartabellotta di Gimbe - l’età media dei contagiati è risalita a circa 40 anni, dimostrando che i giovani asintomatici, quando vengono a contatto in ambito familiare con persone adulte e anziane, contagiano soggetti fragili che sviluppano sintomi e possono necessitare di ricovero ospedaliero, o addirittura in terapia intensiva». Sul Corriere un utile articolo con relativi grafici. Parliamo infine del tema più critico: la letalità, cioè il rapporto fra deceduti e casi totali. Se questo rapporto si fosse abbassato, si potrebbe sostenere che la malattia è più leggera. Ma è così? Purtroppo no, la probabilità di morire sembra sempre quella, immutata. Ho focalizzato la letalità dei 70/79 enni. Nel report dell’Istituto superiore di sanità del 14 maggio (4 mesi fa), il rapporto era di 25,4% a “sessi riuniti”, nell’ultimo report pubblicato (dell’8 settembre, con 55 mila casi e quasi 6 mila morti in più rispetto a maggio), il rapporto era leggermente salito, a 25,9. Avete letto bene: se avete superato i 70 anni e il vostro tampone è positivo, la probabilità di lasciarci le penne è circa un quarto, un po’ più alta se siete uomini e ovviamente se siete vicini agli 80. Confesso che non ci volevo credere: infatti non l’ho scritto subito e ho controllato parecchio. Meglio saperle, certe cose, secondo me. |