|
La Roma del Piacere
23-09-2021 |
'L'anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel ciel di Roma. Tutte le vie erano popolose come nelle domeniche di maggio. Su la Piazza Barberini, su la Piazza di Spagna una moltitudine di vetture passava in corsa traversando; e dalle due piazze il romorìo confuso e continuo, salendo alla Trinità de' Monti, alla via Sistina, giungeva fin nelle stanze del palazzo Zuccari, attenuato'. Con queste parole inizia il romanzo più famoso di Gabriele D'Annunzio, il suo capolavoro narrativo: Il piacere. Il motivo per cui ho scelto di ricordare questo libro è perché in questo romanzo D'Annunzio ha descritto la Roma del tempo come forse nessun altro scrittore è riuscito a fare. La Roma di D'Annunzio è quella a cavallo fra '800 e '900; è la città diventata capitale d'Italia da pochi anni. La piccola breccia aperta dalle cannonate, a Porta Pia, ebbe in sé un significato più simbolico che militare, ma d'improvviso fu come se, grazie a quella modesta apertura, nell'antica città, insieme ai bersaglieri, fosse entrata un'aria nuova. Roma aveva rotto il suo isolamento di secoli e nel volgere di pochi anni la sua vita cambiò in modo tale che da alcuni fu giudicato traumatico. Scrive Corrado Augias nel suo I segreti di Roma che il cambiamento più grande fu che, in ritardo di un buon secolo sulle altre capitali, anche Roma iniziò ad avere una borghesia. Sotto il dominio papale la popolazione cittadina era fatta di nobili, preti e plebei. Con l'arrivo dei piemontesi e di un'amministrazione statale, si forma un ceto intermedio che sarà protagonista, nel bene e nel male, di altri cambiamenti che vanno dal costume alla politica. Accanto a questa nuova classe emergente, convive la nobiltà 'bianca', vale a dire la nuova aristocrazia creata dal Regno e così definita per distinguerla dalla nobiltà 'nera', creata cioè dai papi. A Roma, infatti, coesistono ormai due corti, quella papale e quella dei Savoia, e due diplomazie. La nobiltà romana per qualche decennio si divide fra due fedeltà che molti sentono inconciliabili: il trono e l'altare. L'estraneità dei nobili 'neri' al nuovo Stato era comunque destinata a diminuire: in breve tempo, tutti capirono che il papa, privo del potere temporale, poteva promettere solo lontane beatitudini celesti, mentre con il nuovo regime diventava possibile combinare ottimi affari immediati, soprattutto vendendo a peso d'oro le antiche proprietà agricole, ora edificabili. D'altronde, occorreva trovare in poco tempo una sistemazione per migliaia di persone tra parlamentari, burocrati, militari, rappresentanti delle professioni liberali e le loro famiglie. Con il pretesto dell'espansione demografica, la città si trasforma in un vasto cantiere senza regole né leggi, dove tutto è lecito pur di guadagnare denaro. Inizia un nuovo 'sacco di Roma' (non sarà il primo né, ahimé, l'ultimo): bande di speculatori, di faccendieri, di intermediari, di portaborse vi accorrono da ogni dove, anche dall'estero. L'Italia stava entrando in quella fase che verrà definita dagli storici 'autunno del Risorgimento': il culto patriottico capitolava di fronte alla spinta degli affari. D'Annunzio ha descritto più volte questo 'scempio' edilizio che cambiò irrimediabilmente il volto della città, con un sentimento diviso tra la ripulsa e l'attrazione: 'La lotta per il guadagno era combattuta con un accanimento implacabile, senza alcun freno. Il piccone, la cazzuola e la mala fede erano le armi.' Tornando al nostro romanzo, Il piacere, com'è noto, racconta la storia dell'attrazione che il giovane aristocratico Andrea Sperelli (alter ego dell'autore) prova per due donne, la bella e sensuale Elena Muti e la dolce e spirituale Maria Ferres (non a caso, la prima richiama nel nome colei che causò la guerra di Troia, la seconda la madre di Cristo: nomen omen, dicevano gli antichi romani, nel nome è racchiuso il destino). Alla fine sarà abbandonato da entrambe e resterà preda della sua abulica esistenza di nobiluomo, inetto a vivere. Ecco come viene descritto il protagonista del romanzo: 'Roma era il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la Roma dei Papi; non la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fòri, ma la Roma delle Ville, delle Fontane, delle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Medici, il Campo Vaccino per la Piazza di Spagna, l'Arco di Tito per la Fontanella delle Tartarughe. La magnificenza principesca dei Colonna, dei Doria, dei Barberini l'attraeva assai più della ruinata grandiosità imperiale.' Già da queste poche righe intuiamo il profilo psicologico del 'giovin signore' dannunziano: il prodotto di un'aristocrazia decadente, in procinto di essere travolta dall'irrompere (per usare le parole dello stesso D'Annunzio) del 'grigio diluvio democratico'; un esteta malato di un eccesso di sensibilità e portato a mistificare ogni suo moto interiore. In altre parole, una via di mezzo tra il Dorian Gray di Oscar Wilde e i 'bamboccioni' di cui parlava Padoa Schioppa. Ma, come dicevo all'inizio, a noi qui interessa soprattutto il D'Annunzio che a grandi pennellate raffigura la Roma che vede, o immagina di vedere, intorno a sé, come in questa istantanea: 'Dopo un tratto in salita, apparve la città immensa, augusta, radiosa, irta di campanili, di colonne e d'obelischi, incoronata di cupole e di rotonde, nettamente intagliata, come un'acropoli, nel pieno azzurro'. La Roma che D'Annunzio descrive è quella aristocratica dei ricevimenti, dei salotti eleganti, delle vendite all'asta, dei levrieri, della caccia alla volpe, delle accademie di scherma, delle piume che ornano i grandi cappelli della dame. Certo, l'autore non ignora che le isole di raffinato benessere nelle quali fa muovere i suoi personaggi sono circondate da un mare di abiezione e di miseria. Infatti, li registra con lo scrupolo del cronista; tuttavia, il suo estetismo rifiuta di prendere in considerazione quegli aspetti della realtà cittadina. Come ha fatto notare Maurizio Serra in un suo recente libro dedicato a D'Annunzio, la nuova capitale non può vantare né l'élite militare del Piemonte, né le tradizioni borghesi della Lombardia, né lo splendore artistico di Venezia o di Firenze e neppure il fervore filosofico di Napoli. Con il papa confinato in Vaticano, la capitale soffre di un vuoto identitario. Un impulso decisivo ad animare la vita di Roma lo darà la regina Margherita, moglie di Umberto I, che prende molto seriamente il suo ruolo di prima regina d'Italia. E' lei il vero motore della mondanità di Roma, occupandosi con successo di sviluppare le relazioni pubbliche e contribuire al rinnovamento dell'immagine della neocapitale d'Italia Trascinata dal suo esempio, la città esce dal letargo e si movimenta, cercando di adeguarsi alle altre capitali europee. I costumi si rinnovano, teatri e caffè letterari si moltiplicano. L'opinione pubblica è abbastanza esuberante, il dibattito culturale si diffonde e, poco per volta, si fa strada una società più aperta, culturalmente più vivace e adeguata ai tempi non solo rispetto a quella papale, ma anche alla Roma del successivo ventennio fascista. Della Roma a cavallo di due secoli D'Annunzio fu uno degli indiscussi protagonisti oltre che attento cronista. Da raffinato scrittore trasferirà poi quell'ambiente e quei personaggi nel suo romanzo lasciandoci un affresco indimenticabile della capitale in quel particolare periodo che, iniziato con l'ingresso dei bersaglieri a porta Pia, arriverà fino alla vigilia della Grande Guerra, 'l'inutile strage' secondo la definizione di papa Benedetto XV che trascinerà via con sé tutto quel mondo. |