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n. 9431   lettori al   18.05.24
L'ALTRO COLLE
12-11-2019
Tutto ebbe inizio un mattino di primavera di più di duemila e settecento anni fa, quando due fratelli salirono su due alture, poste una di fronte all’altra, per stabilire dove e da chi dovesse essere fondata una città. Uno dei due fratelli, Romolo, vuole chiamarla ‘Roma’ ed edificarla sul Palatino, mentre il secondo, Remo, la vuole chiamare ‘Remoria’ e fondarla sull’Aventino.

Scrive Tito Livio che, poiché i due erano gemelli, la primogenitura non poteva costituire un criterio decisivo. Toccava quindi agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, mediante presagi, chi avrebbe dato il nome alla città e chi vi avrebbe regnato. Il primo ad avvistare sei avvoltoi fu Remo dall’Aventino. Poco dopo, a Romolo ne apparvero dodici dal Palatino. Pertanto, i rispettivi gruppi proclamarono re entrambi: gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo; gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una lite e dalle parole si passò ai fatti: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra morto. Più diffusa – prosegue lo storico – è la versione secondo cui Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe superato le mura appena erette e Romolo, al colmo dell'ira, l'avrebbe ucciso aggiungendo: “Lo stesso accada a chiunque osi scavalcare le mie mura”. Così Romolo s'impossessò del potere e la città prese il nome del suo fondatore. 

Non sapremo mai quale direzione avrebbe preso la storia del mondo nel caso la vittoria fosse andata a Remo; se ci sarebbero stati un impero o una pax remoriana; se qualche personaggio famoso avrebbe arringato la folla con le seguenti parole: “Amici, Remoriani, compatrioti …”. Sappiamo invece che la città – nata da un fratricidio – prese il nome di Roma, venne fondata sul Palatino e che Romolo ne fu il primo re.
Il Palatino, dimora dei patrizi, divenne così il luogo del potere per antonomasia: il suo nome latino – Palatium, da cui il nostro ‘palazzo’ – indicava il colle sul quale Augusto e la maggior parte dei suoi successori stabilirono la propria residenza. Durante l'Impero, il termine passò quindi a indicare il luogo nel quale l'imperatore abitava ed esercitava la sua autorità.
Per una sorta di ‘contrappasso dantesco’, l’Aventino divenne il luogo privilegiato del contropotere: una zona popolare, sede di rivolte, come testimoniano le ripetute secessioni della plebe romana, che, per protestare contro le angherie dei patrizi (del palazzo insomma), si ritirava su questo colle. E 'aventiniani' saranno chiamati, con evidente allusione alla storia romana, quei membri del Parlamento italiano d’opposizione al governo fascista che nel 1924, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, decisero di non partecipare più ai lavori del Parlamento, finché un nuovo governo non avesse ristabilito le libertà democratiche.

Rimasto per lungo tempo fuori dei confini sacri della città, l’Aventino fu inglobato ai tempi di Augusto in una delle “regioni” in cui era stata divisa Roma e, in età imperiale, vide sostituirsi al popolo le famiglie patrizie, che vi costruirono bellissime terme e lussuose dimore. Anche Traiano, prima di diventare imperatore, ebbe qui la sua abitazione privata.
Dopo la fine dell’impero romano, tutta la zona divenne sede di ordini monastici e d’insediamenti fortificati: a testimonianza di quel periodo restano alcune delle più belle chiese di Roma con i rispettivi conventi: Sant’Alessio, Sant’Anselmo, Santa Prisca, Santa Sabina. Quest’ultima possiede un magnifico portale in legno scolpito, prezioso cimelio del V secolo, in cui ogni pannello raffigura una storia dell'Antico o del Nuovo Testamento.

Ma il luogo dell’Aventino più ricco di fascino, per le storie che racchiude, è quello che si trova a ridosso del convento di S. Anselmo, che a sua volta prende il nome dal complesso sorto nel decimo secolo come monastero benedettino e che venne trasferito verso il 1150 ai Templari. Quando, nel 1312, alla fine di un drammatico processo, l’Ordine dei Templari fu sciolto, gran parte delle sue proprietà, compresa quella sull’Aventino, venne conferita ai cavalieri dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, meglio conosciuti come cavalieri di Malta, che alla fine del 1300 vi posero uno dei loro priorati.

L’origine dei cavalieri di Malta risale all’epoca delle crociate, quando alcuni mercanti della antica repubblica marinara di Amalfi ottengono dal Califfo d’Egitto il permesso di costruire a Gerusalemme un ospedale, con annessa chiesa e convento, nel quale assistere i pellegrini. Dopo la conquista di Gerusalemme da parte dei crociati (1099 d.C.) l'istituzione, retta dai monaci benedettini, pur mantenendo l’originaria funzione ospedaliera, assunse un carattere essenzialmente militare: sorse allora l'ordine cavalleresco. 
Quando la Palestina venne riconquistata dagli arabi, l’Ordine si trasferì prima a Cipro e quindi a Rodi, di cui fece un baluardo della cristianità, nonché un fiorente centro di commerci fra Occidente e Oriente. Caduta anche Rodi in mano ai turchi, i Cavalieri ebbero varie sedi, fino a stabilire il loro dominio territoriale a Malta, da cui deriva l’attuale nome. Il governo dell’isola fu loro concesso dall’imperatore Carlo V, in cambio del tributo simbolico di un falco da consegnare tutti gli anni nel giorno di Ognissanti al Viceré di Sicilia, che rappresentava il sovrano. (Questo fatto storico ha ispirato il romanzo “Il falcone maltese” di Dashiell Hammett, da cui è stato tratto un celebre film con Humphrey Bogart).

E proprio a Malta ebbe luogo uno degli episodi più cruenti dell’interminabile scontro tra cristiani e musulmani. Nel 1565, i Cavalieri dovettero difendere l’isola dall’assedio dei turchi per più di tre mesi, durante i quali gli assedianti espugnarono una dopo l'altra le posizioni dei Cavalieri, pagando tuttavia un prezzo altissimo per ogni conquista. Infine, quando ormai i difensori di Malta erano ridotti a circa 600 (da novemila che erano inizialmente), arrivò in loro aiuto la flotta spagnola. Gli ottomani erano a loro volta così provati che si ritirarono quasi senza combattere: l’assedio era costato loro circa trentamila uomini.
Quello che non era riuscito ai turchi, riuscì a Napoleone che, alla fine del ‘700, espulse i Cavalieri anche da quest’isola. La successiva attribuzione di Malta alla Gran Bretagna impedì il loro ritorno; pertanto, a metà ‘800 i Cavalieri si trasferirono a Roma, dove hanno trovato la loro sede definitiva.
E così, dopo quasi mille anni di storia in cui furono indomiti difensori della cristianità – dall’epopea in Palestina ai tempi delle crociate alle audaci scorrerie nel Mediterraneo, dagli assedi in terraferma alle battaglie sul mare – i cavalieri di Malta sono alla fine approdati su questo colle, carico a sua volta di storia e di leggende.

Visitare la sede del Priorato di Malta sull’Aventino è come entrare in un luogo senza tempo, sospeso tra passato e presente. S’inizia con una straordinaria piazzetta settecentesca, ideata da Piranesi – raro esempio a Roma di opera urbanistica rococò – decorata con trofei di guerra che alludono alle imprese dei cavalieri di Malta, sulla quale si apre il portale d'ingresso alla villa. L'impostazione della piazza s’ispira anche all’armilustrium, cerimonia durante la quale i legionari, prima di acquartierarsi per l’inverno, salivano sull'Aventino per purificare le armi e riporle nel sacrario dedicato a Marte. Questa piazza, tuttavia, è nota soprattutto perché dal foro della serratura del portale d’ingresso è esattamente inquadrata, in fondo a un viale con l’alberatura tagliata a mo’ di galleria, la cupola di San Pietro. Uno straordinario effetto ottico dà l’impressione a chi guarda di trovarsi vicinissimo alla cupola.
Dal giardino, che si affaccia a strapiombo sul Tevere, si gode una suggestiva visione di Roma. Al centro del complesso dei cavalieri di Malta si trova la chiesa di Santa Maria del Priorato, posta all’interno dello stupendo giardino, ugualmente opera di Piranesi, che la decorò con stucchi elegantissimi. Il progetto, realizzato con grande cura e raffinatezza, ripete dappertutto – dalla piazza esterna alla chiesa agli arredi del giardino – elementi simbolici, armi ed emblemi militari che alludono alla storia dell'Ordine.

Non tutti sanno che, pur essendo tornati alla originaria vocazione ospedaliera, i cavalieri di Malta, memori dei gloriosi trascorsi bellici, hanno mantenuto una loro rappresentanza militare – inserita nell’Esercito italiano come ‘corpo speciale ausiliario’ – che viene impiegata per servizi di assistenza in caso di conflitto o di calamità naturali.


Spero di aver fornito sufficienti ragioni per giustificare una visita a questa zona della capitale, così carica di storia e dove convivono memorie dell’antica Roma, del Medioevo, degli Ordini cavallereschi, nonché alcuni mirabili esempi di architettura settecentesca. Ma, se questo non fosse ancora sufficiente, esistono almeno altri due motivi che rendono una visita all’Aventino un vero ‘must’.
Il primo è rappresentato dal piazzale che delimita a est il colle, al cui centro si trova il monumento a Giuseppe Mazzini, raffigurato seduto in meditazione, probabilmente mentre riflette su quanto diversa era l’Italia da lui immaginata, rispetto a quella che si è poi realizzata nei successivi 150 anni. Dallo spiazzo si ha uno straordinario colpo d’occhio sulle rovine del Palatino e sul Circo Massimo, situato nel fondo dell’avvallamento che separa i due colli. L’antico impianto destinato a ospitare le corse dei cavalli (sì, proprio quelle di Ben Hur), fungeva da cerniera tra l’aristocratico Palatino e il popolare Aventino.
La seconda ragione per cui non si dovrebbe perdere questa passeggiata è che questa zona, ricca di giardini e di villini novecenteschi, rappresenta un’inaspettata oasi di verde, di pace e di silenzio a poca distanza dal centro. Questo darà l’idea di come si presentava Roma agli occhi dei viaggiatori prima di assumere il ruolo di capitale d’Italia, quando era una delle città più ricche di spazi verdi. Questa caratteristica, invece di essere preservata dai governi unitari, fu sacrificata a un’urbanizzazione avida e miope, primo esempio di quella speculazione edilizia che sarà una delle costanti nella vita di questa città. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia …

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