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Se Baricco incontra se stesso...e te
05-12-2024 |
Tre mesi, e Alessandro Baricco torna sul palco del romano Auditorium. Dopo il bellissimo spettacolo di settembre sulle antiche storie di Tucidide, rivissute in chiave di attualità politica (aggressore ed aggredito: la Storia si ripete decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio), lo scrittore, narratore, drammaturgo, affabulatore torinese si ripropone al pubblico dell’Auditorium con un altro spettacolo personalissimo, originale e carico di emozionalità: un viaggio interiore dentro il suo ultimo romanzo ”Abel”, dentro una vicenda, dentro personaggi e dentro lo “spirito creativo” che guida uno scrittore nel momento ispirativo, artistico e comunicativo. Con lo spettacolo del 4 dicembre conclude una tournée con cui ha portato questo lavoro in giro per l’Italia, sempre in compagnia di tre musicisti che fanno colonna sonora per il recitato dell’autore. Cesare Picco, Roberto Tarasco, Nicola Tescari sul palco, alle tastiere e strumentazioni elettroniche, illuminati da luci intense di volta in volta verdi, azzurre, rosse, esprimono una colonna sonora che non è solo accompagnamento del raccontare di Baricco: fa un tutt’uno con la voce narrante. In certo senso fanno musica insieme in un impasto che è impossibile disarticolare. La voce narrante e i suoni – elettronici ma insolitamente caldi – sono un complesso orchestrale unico, che lancia emozioni, suggestioni, e richiami: alla riflessione, all’introspezione, al ripensare se stessi. Come del resto fa l’autore con il proprio vissuto: affascinante nel suo lungo legame con l’arte narrante in tutto il suo percorso di scrittore; sofferto negli ultimissimi anni di battaglia con se stesso e per se stesso di fronte ad un ospite indesiderato nel proprio fisico ancor giovane, di cui è immagine ormai iconica il cappello che stabilmente accompagna il suo stare in pubblico. La voce calda e suadente, ben nota, di Baricco, il creatore della Scuola Holden, scuola di narrazione, di affabulazione, di arte, di cultura, impiega pochi minuti nella immensa sala Santa Cecilia a fare clima: qualche battuta autoironica, qualche cenno illuminante su cosa aspettarsi da questo insolito spettacolo, e si parte, con la lettura di alcuni capitoli del suo ultimo romanzo “Abel”. Sei o sette capitoli, scelti per tracciare una trama, ma non tanto per raccontare una storia, quanto per lanciare in sala emozioni da condividere, su temi di oggi, di ieri, di domani, di sempre: l’amore, la violenza (della storia e della Storia), il viaggio, l’incontro, fra persone e fra persone e società, il senso di un legame e di un passaggio di testimone genitoriale e filiale. E la Morte. Come fare teatro senza fare teatro. Una movimentazione scenica fatta di un addetto alle scene che compare ogni tanto sul palco, sposta sedie e microfono; e l’interprete si sposta di volta in volta di due metri per seguire una sedia, un microfono, la luce di un faro di scena. Movimenti impercettibili, che pure creano l’illusione di un cambio di scena, che di fatto è solo un cambio di capitolo e un cambio di colore luminoso. Eppure è un cambio di tema, che ti porta avanti in una narrazione che fra amore, conflitto, violenza, passione, epifania delle proprie radici nella scoperta finale del “padre di tua madre” ti accompagna in modo morbido ed emozionale verso la Fine ineluttabile del tutto: che sei tu, gli altri, la storia, la vita. Il tutto è solo voce narrante, suono di tre strumenti elettronici, che portano il futuro dentro un passato che è un altrove spaziale e temporale, e luci di fari di scena, di spot, di riflettori che lanciano colori forti o soffusi e, alla fine di ogni capitolo - o scena o “song” come ha amato definirle Baricco – attimi di buio, che chiamano l’applauso del pubblico, espressione di apprezzamento, ma ancor più di emozione condivisa e riflessiva. Il romanzo “Abel” è ancora da scoprire, per chi – lo confesso – non lo ha ancora letto. È un western metafisico, come lo definiscono l’autore e la presentazione editoriale. È storia contestualizzata narrativamente in un mondo che è specifico, se stesso, datato, anche fuori dall’oggi – forse - ma che, come detto prima, finisce col proiettarsi in un tempo interiore che è fuori dal tempo, fuori dal luogo. È vita nei suoi fondamentali; è, appunto, filosofia, che non a caso fa comparire in un momento narrativo del libro e dello spettacolo un filosofo come David Hume quale coprotagonista, a spiegare, a divulgare – la filosofia che divulga, il paradosso di Baricco – il senso di un rapporto con te stesso, col tuo passato, il tuo presente, il tuo possibile futuro. Così come un paradosso, un’illusione psicologica e intellettuale, ma che funziona perfettamente, è il farti capire, penetrare, introiettare un libro, un romanzo, senza averlo letto; con la sola suggestione di un palcoscenico, di una voce narrante, di tre strumenti, e di luci, che vanno e vengono, si accendono, mutano, si infiammano, si spengono. Al termine il foltissimo pubblico esce dalla sala palesemente soddisfatto, lo spettacolo c’è stato, come da attese, e lo ripercorre nella mente. Soddisfatto, ma mentre scende lentamente le scale affollate, e mentre attraversa la cavea dell’Auditorium molto illuminata da alberi di Natale e da tante lucette, proprio nessuno fa caso a quelle luci di festa annunciata: ha negli occhi solo e soltanto le luci di scena di uno spettacolo che si sta portando dentro. Uno spettacolo da commentare, un romanzo forse neppure letto e che pure ormai ha dentro, col suo far west che non è tale, perché è allocato nel mondo: il tuo mondo, il tuo vissuto, col suo senso da decriptare, il suo “padre di tua madre” da scoprire o riscoprire. A settembre avevamo visto, ascoltato altro spettacolo, e commentato: “se Tucidide incontra Baricco”. Oggi possiamo dire e commentare: “se Baricco incontra se stesso… e te”. Dentro di te. |