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Se Tucidide incontra Baricco
12-09-2024 |
Finita un’estate a dir poco “calorosa”; una serata settembrina quasi piovosa, quasi fresca, ed eccoci lì, in tanti, nella cavea del romano Auditorium per uno spettacolo… di teatro? di musica? Direi di affabulazione, fra storia e arte. Del resto non poteva che nascere qualcosa di intenso e di originale, dall’incontro fra Tucidide e Alessandro Baricco. Eh sì, perché Tucidide non ci pensa nemmeno a restarsene fermo nel suo mondo antico; né Baricco pensa minimamente a lasciarcelo. Tucidide è stato un grandissimo storico: vogliamo dire, il più grande dell’antichità classica? E diciamolo! Il più grande, il più stimolante: il più creativo e il più scientifico. Ed anche il più accattivante nello stile di raccontare “storia”. E Baricco è narratore nato: con la parola scritta, ma ancor più con la parola “suono”. Parlare, narrare, intrattenere con la cultura per farti entrare dentro il vissuto dell’uomo: di oggi, di allora, di sempre. Del resto è un tipo di performance che Baricco presenta da anni, in teatro, in televisione, in sale conferenze. Ovunque ci sia una sedia su cui accomodarsi per narrare ed una serie di poltrone o di sedie per il pubblico che intenda ascoltare: o magari anche di gradinate scomode come quelle della cavea dell’Auditorium. Ma tant’è. Siamo lì in tanti, e Baricco arriva sul palco, in compagnia di due belle attrici e di 100 violoncellisti pronti a diffondere suoni compulsivi e penetranti, che fanno da contrappunto alla voce morbida, soft, suadente del narratore. Guerra del Peloponneso, Atene contro Sparta, ma nell’episodio specifico, Atene contro Melo. La grande polis col suo impero politico, economico, militare e culturale. E l’isola di Melo, che di quell’impero è piccola parte, insieme a tante altre isole e città: piccola parte, ma importante. Prima di tutto per i Melii, perché è la loro terra, la loro storia, il loro ubi consistam. E importante per gli Ateniesi, perché la dichiarata volontà dei Melii di rendersi neutrali è rischio troppo grosso da accettare; un precedente che si crea, un varco che si apre nel monolite dell’impero. E poi c’è la grande nemica, l’altra realtà imperialistica: Sparta, che potrebbe approfittare dell’occasione. Impero contro impero, senza tregua e mediazioni. Ma bene fa Baricco, anzi Tucidide, a sottolineare che non di solo conflitto fra due potenze, si tratta, ma proprio di contrapposizione fra due differenti concezioni di uomo e di società. Diremmo proprio due alternativi e contrapposti modelli valoriali, culturali e antropologici: autoritativo l’uno, quello spartano, tendenzialmente repressivo del profilo della individualità umana, della sua sfera dialettica e creativa, alieno dalla indagine filosofica e dalla espressività artistica; per cui il modus realizzativo e relazionale si identifica in toto con quello dei rapporti di forza e conflittuali. Diremmo oggi: società della chiusura. Democratico l’altro, vocato al confronto, al ruolo dialogico e mediatorio di una collettività di individui, che come tali concorrono alla decisione politica in senso etimologico stretto: cioè alle scelte della Polis. Dunque società della apertura, e in quanto tale vocata alla ricerca filosofica, alla espressività artistico/creativa, alla coltivazione delle “pensose ragioni”. Bene fa Tucidide ad evidenziare con la sua storia questi due modelli. E bene fa Baricco a raccogliere l’assist di Tucidide e a tracciare, anche con leggerezza umoristica e con suggestivi richiami al presente ed al vissuto quotidiano, questi due profili umani tanto diffusi nell’antichità…. e nel ventunesimo secolo. E dunque da un colloquio impossibile, non nasce nient’altro che guerra. Che durerà ben 27 anni. E Tucidide la racconta, quasi tutta, perché muore prima che la guerra stessa finisca. Ma raccontandola fa in tempo a costruire un monumento culturale: la Storia. Un modello storiografico che fa epoca, fa scuola, e si fa scienza. La storia di individui e popoli raccontata con categorie interne alla storia stessa: la ricostruzione dei fatti, la concatenazione degli eventi, il far parlare i protagonisti, e il protagonismo dell’uomo e non di soggetti altri come la fortuna, il destino… gli dei. E poi la politica con i suoi parametri, tanto duri quanto lineari, quasi matematici: etica, sentimenti, potenziali inganni e manipolazioni della ragione storica, fatta invece di realismo ma anche di onestà intellettuale, per quanto aspra possa apparire. Manipolazione dei protagonisti della storia fra di loro; e manipolazione dello storico nel ricostruire e raccontare. Una spruzzatina di Machiavelli in … largo anticipo. E su questa linea Baricco servendosi del testo tucidideo, passa dal suo narrare morbido, alla teatralizzazione del momento chiave di quella guerra: la trattativa fallita fra la delegazione ateniese e quella dei Melii. Mezz’ora di teatro autentico, condotto dalle due attrici che affiancano Baricco. Una bravissima Stefania Rocca che espone le ragioni dei Melii e la loro volontà di non cedere, non arrendersi, a costo di subire la violenza della più forte flotta ateniese. E una splendida Valeria Solarino, che espone le ragioni del potente imperialismo ateniese. Laddove, si badi bene, Tucidide non tralascia la drammatica realtà dei fatti: imperialismo dell’autoritativa città di Sparta e imperialismo della democratica città di Atene. La dialettica della storia non passa dunque per queste coordinate ideologico/politiche, ma per quelle più tragiche di violenza e giustizia, aggressore e aggredito, potere e persona. Si diceva della Solarino, che riesce a rendere il registro comunicativo della delegazione del più forte, dell’aggressore, nella sua capacità di ragionamento - dal suo punto di vista ineccepibile - ma smascherato da una palese vena di arroganza, di sarcasmo, direi di tragico umorismo dialettico. Ambedue, Solarino e Rocca, fasciate in splendidi abiti lunghi dai disegni geometrici, da farle apparire non solo suggestiva immagine rivisitata di due antiche donne greche, ma anche visione sublimata di due statue di antiche dee: come in certe immagini dei nostri manuali di arte. E a completare lo scenario, l’ensemble musicale di cento violoncelli, che irrompono a commentare coi loro suoni, surreali e drammatici, il narrare di Baricco/Tucidide e lo scambio ironico/aggressivo fra le due ambasciatrici. Suoni che in certi momenti raggiungono l’apice della intensità per l’integrazione con vocalizzi a piena gola dei cento musicisti e con i colori forti delle luci di scena, che rendono di volta in volta il palcoscenico tutto rosso sangue, verde speranza, azzurro malinconia. E come da storia reale, o come da manuale - direbbe Tucidide - la trattativa, il dialogo, la ricerca di una pace o almeno di un accordo mediato, sfocia nel nulla della guerra. Con la ragione della forza che prevale sulla giustizia. Gli Ateniesi distruggono la comunità dei Melii, uccidendo gli uomini e deportando donne e bambini, e la sostituiscono con propri coloni. E’ quello che è successo. E’ quello che nella storia è successo e succede, in ogni epoca. Ma Tucidide (e Baricco ce lo ricorda con tutta la fascinazione emotiva della sua affabulante narrazione) aveva anche evidenziato il protagonismo dell’uomo nella storia. Non cerchiamo alibi fuori di noi; cerchiamo possibilità e responsabilità in noi. Proprio il ragionare senza manipolazioni e senza ipocrisie può indicare che forse, nella storia, c’è sempre anche una seconda via. E qui il finale dello spettacolo di Baricco… ma che dico, il finale della storia di Tucidide, è fatto di apertura. Ma sempre alla maniera scientifica di Tucidide. Senza indulgere ad una ricerca altra che non sia quella dentro la razionalità umana. E senza indulgere a generico pacifismo o a populismo di maniera. Al racconto della storia di Atene e Melo fa seguito qualcosa che in effetti cronologicamente era avvenuto prima (la storia che è – dovrebbe essere - maestra di vita!). La guerra fra Atene e Mitilene. Stesso percorso, aggravato dalla intenzione di Mitilene non di diventare neutrale, ma di cambiare schieramento e allearsi con Sparta. Guerra, ineludibile. Ma finale aperto. Mitilene è conquistata dall’esercito invasore, che chiede ai suoi dirigenti ateniesi che fare dei cittadini di Mitilene. Atene reagisce democraticamente: affida la decisione alla assemblea popolare cittadina. Il verdetto, a maggioranza: gli uomini in età d’arme tutti uccisi, donne e bambini deportati. Parte una nave per portare all’esercito ateniese di occupazione la decisione assembleare. Ma il giorno dopo l’assemblea ha un ripensamento. Magari una scelta non puramente distruttiva, ma di ragionevole disponibilità, può creare utili basi per fare di Mitilene non solo un fantasma che non preoccupa più (o forse, che preoccuperà per sempre), ma di nuovo un alleato prezioso. La distruzione non risolve. E così parte una seconda nave, che porta un ordine tutt’affatto diverso: fare salvi tutti i cittadini di Mitilene, e punire semmai solo la leadership che ha guidato la rivolta filospartana. Sulle onde del mare la seconda nave rincorre l’altra. E’ troppo tardi? La nave partita per prima arriva in porto, con il suo carico di distruzione. Ma appena in tempo arriva anche la seconda nave, con il suo carico più umano di lungimiranza. E la Storia prende una curvatura diversa, sempre comunque voluta da scelte dell’uomo. E anche l’ensemble di violoncelli può rendere il proprio suono meno compulsivo e tambureggiante, con qualche venatura melodica più morbida… come la voce di Baricco. La seconda nave: l’importanza della ragione, della riflessione, che non è alternativa a sentimenti, affetti, emozioni, ma si intreccia con loro in un unicum che è umanesimo pieno, cioè capacità di pensare a tutto tondo, non per frammenti, ma ponendosi di fronte alla totalità organica delle situazioni, degli eventi. La vita, degli individui come dei popoli, è un mosaico, in cui le tessere si tengono fra loro e così rendono ragione del proprio essere, presente e in proiezione. Insomma uno spettacolo interessante, originale, accattivante, che abbiamo visto in tanti. Compreso un mio nipotino, che ha appena iniziato a frequentare la terza media. E chissà se anche lui lo ha apprezzato. Al momento non si pronuncia esplicitamente. Ma penso proprio che qualcosa abbia lasciato nella sua mente. Magari oggi non ne è consapevole, ma sono convinto che quel qualcosa stia lì dentro, ben protetto in un angoletto. E fra qualche anno uscirà fuori. Magari tra 5 anni, tra 10 anni… un giorno, parlando con un amico, con la fidanzata, con un collega, se ne uscirà dicendo: sai? Una volta, anni fa, una sera ho incontrato due tizi, un certo Tucidide e un certo Baricco, che per un’ora e mezza hanno parlato ininterrottamente di un sacco di cose: di guerra, di pace, di libertà, di oppressione, di dolore, di speranze, di uomini e donne responsabili artefici del proprio fare e del proprio essere. E alla fine sai cosa ci hanno lasciato, prima di andarsene? Una frase, una idea: “Bisogna pensare sempre. Oggi hai pensato? E domattina, quando ti svegli, pensa di nuovo. Sempre. Senza stancarti mai. Perché c’è sempre una seconda nave pronta a partire”. |