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n. 7488   lettori al   06.05.24
La Prima alla Scala è sempre la Prima alla Scala
08-12-2023
LA STORIA
Il teatro alla Scala, in qualche modo, è unico. Fa arte, spettacolo, notizia e politica. Potremmo dire, con slogan tipico della Rai: la Scala di Milano, di tutto di più.
E anche il 2023 ha avuto la sua prima ad effetto. Da quando è stato inaugurato nel 1778, non è passata una “Prima”” senza notizie, senza polemiche, senza tensioni… e senza fascino. E, non dimentichiamo, senza arte. I fischi dei logionisti temutissimi dai cantanti; le contestazioni a certe messe in scena non in linea con la tradizione del bel canto; le contestazioni politiche e sociali, che individuavano in quell’evento un segno di benessere e di main stream da contestare, ma soprattutto un’occasione utile di visibilità per le proprie rivendicazioni. Dai movimenti studenteschi, ai disoccupati, ai sindacati, a tanti altri.



E poi la Scala come luogo di rivendicazione risorgimentale di libertà e di indipendenza, la Scala dei Viva V.E.R.D.I. , e del viscontiano film “Senso”. La Scala che scatena il tuo immaginario, e non puoi che viaggiare altrove, oltre, nel tempo; fra le atmosfere dei dipinti di Hayez, dal “Bacio” a “Meditazione” a “Malinconia” . Oppure eccolo lì, Gerolamo Induno, col suo “Triste presentimento” e la sua dolcissima ragazza in camicia da notte, seduta sul letto sfatto, in una stanza in totale disordine dove il tempo sembra essersi fermato; e si racchiude tutto fra le sue mani in quella piccola cornicetta in cui verosimilmente è ritratto un amore partito, esposto ai venti impietosi di una guerra che – forse – non lo farà tornare. Un “piccolo mondo antico” che la Scala con le sue Prime ti fa recuperare nella mente, nell’immaginario e nel cuore. Ma che è anche un piccolo mondo moderno, perché sia essa la Prima dell’Ottocento garibaldino o la Prima del 2023, il luogo continua ad essere iconico. Iconico di un tutto, che si ripropone, in un eterno divenire, ma anche in un eterno ritornare: arte, bellezza, battaglia politica, libertà, potere, Stato, individuo… e passione, amore e morte. La Scala, tragedia e commedia, armonia e disarmonia: la Scala metafora della vita. Beh, piacciano o non piacciano questa opera - Don Carlo - e il suo creatore Giuseppe Verdi, però non si poteva inaugurare la stagione 23-24 con qualcosa di più appropriato, di più dentro la storia di questo teatro. E del presente.

L’OPERA
Don Carlo, col suo riferimento iper-romantico schilleriano e la sua rivisitazione musicale verdiana, non potrebbe essere più emblematico di una storia di lotta fra libertà e potere e di pulsione fra eros e thanatos. E con il rinforzo di tensioni e drammi che davvero ti fanno superare le barriere del tempo, con l’uomo di ieri e l’uomo di oggi…. che si specchiano. Guerre, occupazioni, anelito alla libertà, e sacrificio per essa; e amore, vero, schietto, prorompente e….. negato. Per esigenze politico/diplomatiche come per la Elisabetta della tragedia schillerian/verdiana; o magari, oggi, nell’evoluto 2023, per differenze integraliste di tipo etnico, culturale e/o religioso, per le Saman dei nostri tempi. Insomma la musica si mixa con la realtà della storia e della cronaca; ed emoziona anche per questo, sia quando esonda dalla cavea orchestrale con le ardite e incalzanti romanze verdiane dal timbro alto, intenso e un po’ retorico. Sia – e ancor più – quando si effonde in un lirismo delicato e melodico che esce dall’anima del/della protagonista. Insomma questo Don Carlo ci sta tutto, dentro le emozioni del nostro presente.

GLI ARTISTI
E così gli artisti. Un cast di eccezione, col baritono Luca Salsi in grande spolvero nel ruolo del libertario ma anche contraddittorio Rodrigo Marchese di Posa; il tenore Francesco Meli, un Carlo assai credibile nei suoi sofferti tormenti, umani e politici; il basso Michele Sperduti ( dalla gola infiammata, come avverte il Sovrintendente durante l’intervallo) che rappresenta un Filippo II tanto calibrato e interiormente intenso da farcelo diventare addirittura simpatico, lui dittatore e padre crudele, ma fragile vittima del potere… sì del potere più grande del suo: l’Inquisizione, cioè l’integralismo irrefrenabile di un credo popolare che si fa eticità senza etica, si fa stato senza stato e si fa vita essendo morte.
E poi le dive canore, in una gara artistica fra Anna Netrebko, una lirica Elisabetta di Valois, ed Elina Garanca, una sensuale Principessa di Eboli, tanto appassionata nel profilo umano quanto limpida e lineare nel timbro canoro. Il tutto inquadrato da una regia di taglio volutamente classico e tradizionale, a-sperimentale, e soprattutto da una definizione scenica e visiva fortemente iconica. Colori dominanti, nella scenografia e nei costumi, un elegante nero ed un luminoso oro; il tutto ti fa pensare a dipinti di El Greco, di Velazquez o di scuola fiamminga.

Né può mancare la notazione politica, all’interno della composizione artistica del cast, per la presenza di Anna Netrebko, la star dei soprani oggi in attività, ma da due anni tormentata dal suo amletico fantasma personale: il legame col regime di Putin, che la ha fatta escludere da tanti spettacoli in varie parti del mondo, Italia compresa. Imperterrita la Netrebko ha proseguito nel suo slalom fra fedeltà al suo leader e protettore istituzional/artistico, e prese di distanza soft – molto soft - dalla invasione dell’Ucraina: la “sua” Ucraina, della cosacca Netrebko, ma sensibile alle spinte separatiste filorusse. E poi la guerra, il dire e non dire, persino le cause giudiziarie intentate a teatri come il Metropolitan di New York per l’annullamento di spettacoli già organizzati con lei protagonista. La divina Anna, che dice e non dice, che rivendica la indipendenza dell’arte dalla politica, ma ad un tempo anche la sua fedeltà al regime di cui è parte. Insomma Anna, non a caso contestata anche in questa occasione dalla comunità ucraina davanti al teatro; Anna col suo destino di fatto tragico, in cui naviga comunque con lo sconfinato successo della sua indiscutibile arte canora. Ma attenzione, la lettone Garanca col suo timbro mezzosopranile, più fascinoso di quello acuto dei soprani puri, si è fatta ammirare: fors’anche di più. La sua voce calda e graziosa ad un tempo, da tipico mezzosoprano, ha dipinto romanze come la ritmica e sensuale “canzone del velo”. Sì, Elina Garanca è lì, in agguato, a caccia del titolo di neodivina. Proprio ora che ricorre il centenario della morte della divina canora per eccellenza (Maria Callas); e proprio ora che l’Unesco ha meritoriamente inserito fra i patrimoni dell’umanità il canto lirico del melodramma italiano. Grande successo celebrato in apertura di serata dal Sovrintendente Dominique Meyer.

LO SPETTACOLO DENTRO E FUORI
Torniamo a Verdi, ed alla serata inaugurale della nuova stagione, con i suoi 13 minuti di applausi finali. Serata nella quale, come da tradizione, non è mancato proprio nulla. La contestazione sulla piazza da parte di lavoratori, che non si lasciano sfuggire l’occasione per ricordare che, quanto a qualità della vita, non se la passano mica tanto bene… per usare un eufemismo. E poi i cori di giovani e meno giovani per la Palestina libera e la Palestina rossa. Questa cosa non è che mi sia chiarissima: rossa di sangue? Eh sì, purtroppo sì, per questo popolo senza pace. Rossa in senso politico/ideologico? Ma di questo obiettivo ne hanno parlato con Hamas? Perché non so, ma non ci giurerei che sia proprio il rosso il suo obiettivo.
E poi i cori di rivolta, umana, culturale e politica, contro le violenze - e gli stupri - del 7 ottobre scorso in territorio israeliano.…… come dite? Questi cori non li avete sentiti? In effetti nemmeno io, perché non ci sono stati. Eh no, purtroppo, a quanto pare nemmeno la Prima alla Scala riesce a smuovere ribellione – e ribellione epocale – contro l’antisemitismo. Ma tant’è, non è che la Scala possa occuparsi di tutto.
Di antisemitismo peraltro c’è già l’ONU che se ne occupa intensamente……...

E infine, alla Scala, non poteva mancare il balletto! Ospite d’eccezione Roberto Bolle, direte voi. No no, non pensavo al nostro divin danzatore. Pensavo al balletto che per oltre 48 ore ha visto protagoniste figure politiche istituzionali. “Io con lui non mi siedo nel palco, semmai vado in platea”. “Ma se costoro non vengono nel palco con me, allora vado in platea pure io”. “Eh però, poltrone lontane, se no non vengo”. Ma scusate, ma voi non siete figure istituzionali? Quindi non rappresentate voi stessi. Nell’esercizio delle vostre funzioni istituzionali - non politico/partitiche - voi rappresentate noi, cittadini, liberi cittadini, alcuni dei quali vi hanno votato, altri mai vi voterebbero. Ma lì, nel teatro alla Scala, siete le istituzioni. Voi potete pure essere piccoli piccoli, ma come istituzioni siete grandi grandi, e dovete rispettare voi stessi; altrimenti come facciamo a rispettarvi noi?
E così fu, che sotto la spinta mediatica – e fors’anche dagli alti Colli - alla fine si ritrovarono tutti insieme appassionatamente nel palco reale, mediati dalla centralità di una sobria Liliana Segre.

L’ATMOSFERA
Almeno consoliamoci con due ultime notazioni. Il vestirsi di rosso in queste serate e in questi contesti pare non si usi: sia fuori consuetudine (chissà poi perché). Ebbene vivadio, diverse spettatrici si sono presentate vestite di rosso, perché non è mai troppo, e non è mai inutile ricordare che ci sono donne che muoiono o patiscono violenze… perché donne.
E con loro vestite di rosso, anche un corista iraniano, arrivato indossando una maglia con la scritta “donna, vita, libertà”: tanto per ricordare le giovani donne iraniane in piena battaglia epocale.
Inoltre, per gradire, la serata si apre come di consueto con l’inno di Mameli, che in verità non ho mai considerato un granché musicalmente – né come testo – ma che quando viene eseguito da una orchestra seria … beh assume tutto un altro tono.
Né è mancato al termine della esecuzione diretta magistralmente da Riccardo Chailly, un grido dal loggione: “Viva l’Italia antifascista”. Che come concetto a me pare bellissimo, senza se e senza ma. Un “ma” devo però esprimerlo. Questa frase pronunciata in quel teatro, che ha testimoniato battaglie di libertà emergenziali di tutti i tipi, nell’Otto come nel Novecento, mi suona un pochino forzata, nel contesto. Sarò un illuso, sarò un incosciente, sarò uno sciocco, ma a me l’Italia non sembra – almeno spero - sull’orlo della dittatura e dello sfacelo della/delle libertà. Però certamente bene non sta, proprio per niente! ma questo è un altro discorso. Questa nostra Italia mi sembra penosamente contraddittoria, irrispettosa della stessa libertà che generazioni precedenti hanno conquistato, ma che noi – credo - non tanto stiamo per perdere, quanto piuttosto non facciamo evolvere e progredire – culturalmente ed economicamente - in senso moderno e civile. Della scuola una volta si diceva che doveva essere ascensore sociale. Ecco, il nostro paese mi sembra da tempo in un ascensore… ma che scende soltanto! Mi sembra un paese irrozzito (neologismo tutto mio, creato or ora), rancoroso, intollerante e anche un bel po’ violento, a-razionale e a-solidale. E tutto ciò è molto brutto.
Ed anche questa Prima della Scala lo testimonia, perché al di là di tutti i rituali, mi è sembrata avvolta in un clima molto lontano da quel “piccolo grande mondo” descritto inizialmente. Magari ci vorrebbe un po’ di quella passione e fiducia umanistica che filtra dalle note del Don Carlo e che per qualche ora ha aleggiato e soffiato fra stucchi e lampadari, palchi e platea, uomini e donne, nel teatro alla Scala, di Milano. Ha soffiato un bel venticello di umanità, sì.… ma solo la musica. Il resto, è silenzio.
Al prossimo anno!

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