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n. 7919   lettori al   16.07.24
La solitudine dell'uomo nella Storia. Un concerto coinvolgente
15-10-2023
Con la metà di ottobre ha preso avvio la nuova stagione concertistica classica dell’Auditorium e di Santa Cecilia. E per il dodicesimo anno consecutivo sono pronto all’appello, col mio abbonamento.
Dico subito che il concerto inaugurale mi ha convinto, per contenuti musicali, per performance orchestrale, e per la integrazione musica/immagini, con proiezione di un video contestuale alla musica.
Sarà anche dipeso da astinenza da concerti di oltre tre mesi, ma a me questo concerto è piaciuto: tanto. Andiamo con ordine. Musiche – famosissime – di Ottorino Respighi: Pini di Roma, Fontane di Roma, Feste romane. Una trilogia trascinante, ben nota, con i suoi crescendo mozzafiato, come il paesaggio romano cui è ispirata. Di più; soprattutto il crescendo dei “Pini di Roma” non mi fa pensare solo alla via Appia, ai resti archeologici dell’antica Roma con la sua potenza – passata, ma non tramontata. Fin da quando la ascoltavo da ragazzo questa musica evocava in me anche un’altra passione, per scenari western, con cavalcate, prima lente e poi galoppanti, di tribù pellerossa con affascinanti ed agili cavalli. E visto il video proiettato in sala, a quanto pare anche al suo bravissimo progettista/autore Yuri Ancarani questa evocazione, classica e western ad un tempo, deve esser venuta in mente: suggestiva, emozionale.
E poi la sontuosità barocca delle fontane romane, alternata ad attimi di musica quasi bucolica che richiama lo zampillare delicato e raffinato dell’acqua. E infine la gioiosità compulsiva delle feste romane, che evoca uno stato di giovinezza che vuole cogliere l’attimo, ma che “si fugge tuttavia… di doman non c’è certezza”. Musica di Respighi costruita per sollecitare emozionalità, che penetra invasiva sotto la pelle e crea un’agitazione vitale, che ti fa rispondere : ci sono.

Che poi sia una musica gioiosa che esprime felicità è tutto da dimostrare. Anzi, credo il contrario: è emozionalità che ti fa sentire vivo, ma in tensione ansiosa per un presente da cogliere ma fuggevole, ed un futuro che profila complessità, problemi, scelte…e l’ignoto.
A questa musica, ad un tempo facile da gustare nell’immediato ma difficile da metabolizzare nel profondo, l’orchestra di Santa Cecilia con il suo direttore di serata Ivan Fischer ha dato voce stupenda, incisiva: a me è sembrato non abbia sbagliato un passaggio. Lenta e austera con gli ottoni bassi quando richiesto, soffusa e appena accennata con archi e legni in altri passaggi, incalzante nelle sonorità delle percussioni in un crescendo a pieno organico che ad un certo punto si fa esplosivo, da brividi irrefrenabili, che solo l’aplomb da sala concerti ti fa controllare.

Una musica che nelle fontane romane si fa di una raffinatezza assoluta, al punto da evocare non solo zampilli di acqua oppure acqua che scivola fluente lungo pareti scultoree, ma che goccia a goccia cade delicata su altra acqua statica, creando piccolissimi cerchi concentrici; con un rumore impercettibile, che qualunque minimo suono di una città in movimento cancella, lasciando trasparire solo la immagine di una goccia silenziosa, e per ciò stesso ancor più soffice e morbida. La raffinatezza di una musica: la raffinatezza di una immagine: la raffinatezza di una percezione.

E poi le feste romane che portano all’idea di un movimento tanto armonioso quanto sinuoso e frenetico: la danza, la vitalità, il corpo umano che si fa arte e si fa musica.

E tutto questo mi è sembrato si potesse cogliere anche nel video proiettato su grande schermo alle spalle dell’orchestra: forse un po’ incombente sulla orchestra che pur numerosa, appariva quasi piccola di fronte alla imponenza delle immagini. Ma la abilità dei musicisti ha trovato il punto di equilibrio con le immagini, integrando melodie e filmato senza invasività reciproca, ma con equilibrata integrazione. Un unicum artistico ed espressivo.
La trilogia filmica di Yuri Ancarani, da coniugare con la trilogia musicale di Respighi. Con tre scelte tematiche difficili, in prima battuta anche criptiche, ma che alla fine pagano, in termini di intreccio con le note musicali.
Ai Pini di Roma si accompagnano immagini che riconducono alla gloria cinematografica di Roma, con gli studi di Cinecittà. Attori e registi affascinanti anche solo a rivederli così, nel video, a volo di uccello. E molti frammenti documentaristici rimandano al set di film ambientati nell’antica Roma, con i suoi imperatori e con il suo popolo, con la sua grandezza culturale e ad un tempo la sua crudeltà spettacolare dei giochi circensi con gladiatori e leoni; con i suoi soldati imperiali muscolari e le sue donne, aristocratiche e popolane, belle di una bellezza mediterranea, ben espressa dalla fisicità popolana delle Lollobrigida e aristocratica delle Rossi Drago. La musica dei Pini si fa incalzante, affascina ma fa entrare in scena anche la percezione di qualcosa di nuovo che incombe. Ed il video ci porta così avanti nel tempo, nei set della Cinecittà dei Fellini e degli Antonioni, con la bellezza non più solare ma intrigante e sofferta delle Monica Vitti. E tu in sala senti e vedi l’incalzare di un futuro sconosciuto, tutto da scoprire, rispetto alla tranquillità del consueto, del presente e del passato, per quanto denso anch’esso di tormento. “Il tormento e l’estasi”, che appare per un attimo sul video con Charlton Heston che interpreta Michelangelo. E allora il senso di tutta la trilogia del video comincia a delinearsi: il difficile mestiere di vivere dell’uomo, lungo la storia.
Ed ecco il momento più fascinoso ed intenso di questo video di Ancarani. Fra le mura antiche di Roma, autentiche di Villa Adriana o ricostruite in set cinematografico, ecco imporsi la grandezza di una umanità che ha costruito una storia ed una cultura che non tramonta. Ed in mezzo a queste vestigia affascinanti ma anche inquietanti con il loro passato e la assenza di un presente (quanto deprimente il combinato disposto di un pensiero cha vaga fra la Roma antica e la Roma presente affannosamente alla ricerca di se stessa) ecco apparire in scena un giovane uomo in stile western, con un cavallo sauro elegante quanto malinconico, bello quanto stanco, che muove lentissime, quasi al rallentatore le zampe fra quelle mura, quegli archi, quegli affreschi. Carico di una propria dignità, tanto il ragazzo quanto il cavallo, di fronte alla imponenza di una storia che non è più la sua: la percorre, la osserva stancamente, e avverte tutto il peso della propria solitaria fatica di vivere. Non c’è altra anima alcuna in scena, se non uomo e cavallo nella immensa solitudine di quelle vestigia di un mondo che fu. La solitudine dell’uomo nella storia. Eh sì, Ancarani te lo aveva fatto percepire già prima, cogliendo il senso del crescendo respighiano che proietta verso l’ignoto, con una sola certezza: che sei solo, uomo, dentro la storia. La Storia con la S maiuscola, che prescinde da te. La storia del tuo vissuto quotidiano che invece andrai costruendo passo dopo passo, con dignità e sofferta malinconia, lentamente come l’incedere dell’uomo e del cavallo compagni di un viaggio anonimo, ma che è tutto quello che hai, tutto quello che sei.

E nel video irrompe a questo punto qualcosa di inaspettato, imprevisto: la vitalità di adolescenti e giovani, uomini e donne, di popoli palesemente diversi, uniti da un’unica pulsione. Danzare davanti alle straordinarie e lussureggianti fontane di Roma, emblema di una grandiosità che non è la loro, non è la nostra, non è di Roma oggi. Giovani che danzano, sinuose e sinuosi, bellissime e bellissimi, sensuali, con abilità ritmica al suono delle note respighiane divenute lontane per effervescenza da quelle ombrose dei Pini. Ma attenzione, è solo apparentemente felicità. E’ ricerca di felicità, che è altra cosa. E’ gioco, con cui cerchi un brivido di felicità, come nel saliscendi delle montagne russe che irrompono nel video con le loro “discese ardite e le risalite”. E poi è realtà? O è finzione di un set cinematografico, anch’esso? Finzione e realtà pirandellianamente si intrecciano ed è impossibile districarsi in un cammino che è quello stesso della vita: realtà finzione, gioco complessità, solarità penombra ombra. Socialità solitudine. Che il messaggio del video di Ancarani sia di un sofferto ma dignitoso pessimismo a me sembra indicarlo proprio il suo finale. Dai giovani che vitalistici danzano, si passa ad una grande porta da cui - di nuovo - esce l’uomo con il cavallo, portato a mano, mai cavalcato impetuosamente. Camminano insieme: escono dalle mura? escono da un set cinematografico? escono dalla realtà? Comunque proseguono il proprio percorso, lentamente, dignitosamente.
LA DIGNITÀ DELLA SOLITUDINE DELL’UOMO NELLA STORIA.

Si spengono le note musicali, si spengono le immagini, buio e silenzio; poi si riaccendono le luci della sala... e ti porti dentro il crescendo respighiano e l’immagine di un giovane uomo con un cavallo: sauro, dorato.

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