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Vissi d'arte, vissi d'amore
10-12-2019 |
E beh, devo intervenire, non posso esimermi. Sì perché un po’ troppe persone, oggi, ieri e l’altro ieri, si sono cimentate nel fare le bucce al mio amato Giacomo Puccini, ed alla sua Tosca. Anche il mio amico e consocio in “Iscritti a parlare” Alberto Galanti ha postato sul nostro sito un articolo sulla prima alla Scala, con la pucciniana Tosca. Niente: dai contemporanei di Puccini ad Alberto, quante critiche, quante riserve, quante bastonature. Per carità, Alberto non ce l’ha con Puccini, anzi dice che lui la Tosca se la sente quando vuole, volentieri, e gli piace: fin da ragazzo. È la prima alla Scala che lo infastidisce un po’, e soprattutto la superdiffusione mediatica dello spettacolo, con una quarantina di maxischermi sparsi in vari punti di Milano a diffondere immagini e note del dramma pucciniano: dalla Galleria Vittorio Emanuele, alle piazze, alle stazioni Metro, al Castello Sforzesco, all’aeroporto. Su questo ritorniamo dopo. Sulle critiche a Puccini e a questa sua opera fatte dai contemporanei e soprattutto da altri musicisti (Mahler, Debussy) diciamo invece qualcosa subito. E precisamente: non me ne importa un bel niente. A me Puccini piace da morire; lo sento; lo vivo; dentro. La sua musica mi emoziona, mi dà i brividi, mi commuove. E mi esalta la intensità delle sue armonie, che toccano le corde della emotività. Così come la ricerca musicale ardita, non estranea, affatto, alla innovazione musicale che ha attraversato il ventesimo secolo. Si pensi in particolare a tante partiture pucciniane per sola orchestra o corali (intermezzi e ouverture); si pensi all’uso raffinato dell’orchestra come protagonista di rinforzo, di commento o addirittura di sviluppo dell’intreccio, quasi come un coro da tragedia greca. Si pensi al suggestivo preludio del terzo atto della Tosca, con Roma protagonista attraverso le sue campane e la voce soave di un bambino, quasi evanescente nella sua lontananza. Insomma l’intermezzo del terzo atto della Manon; “nessun dorma” o “tu che di gel sei cinta” della Turandot; “che gelida manina” o il “valzer di Musetta” della Bohème; “il coro a bocca chiusa” della Butterfly; e via elencando, sono musiche che ho dentro da quando ero ragazzo, ed ora che ragazzo non sono più – diciamo così - continuo ad averle dentro, parte di me, del mio vissuto emozionale ed intellettuale. E con esse stanno in buona compagnia “vissi d’arte, vissi d’amore”, “recondita armonia di bellezze diverse”, “va Tosca, nel tuo cor s’annida Scarpia”, “e lucevan le stelle”, cioè le grandi arie della Tosca, con il suo travolgente finale e la musica che esplode nel momento in cui la diva si lancia dagli spalti di Castel Sant’Angelo. Mahler diceva che era invedibile, questo dramma, con una donna che uccide un uomo con un volgarissimo coltello da cucina e non ha nemmeno un sussulto di pentimento o di orrore per il gesto compiuto. E con una fucilazione finta che invece poi risulta esser vera e via discorrendo. “Mi sono alzato e me ne sono andato”, disse Mahler. E aveva torto. Sì, aveva torto, il mio amatissimo Mahler; lì c’è dramma, c’è passione, c’è spettacolarità dell’arte, così come è spettacolare, drammaticamente spettacolare la vita. Lì c’è eros e thanatos. E c’è volontà e capacità di quell’arte di essere accessibile, di parlare ad un pubblico colto come ad un pubblico meno provvisto di strumenti culturali, ma non per questo meno sensibile a pagine di musica altissima e di dramma umano; ed anche di teatro tanto intenso, irreale e virtuale quanto verosimile. Eh sì, perché si può criticare quanto si vuole la teatralità esasperata della vicenda di Tosca. Ma se si ha la bontà e la pazienza di dare un’occhiata alla vita reale, si troverà che questa supera di gran lunga la finzione scenica, per imprevedibilità e drammatica spettacolarità. La vita che supera l’immaginazione. E Mahler ne sapeva qualcosa. D’altronde, avete mai visto un musicista che parla bene di un altro musicista? Un medico che parla bene di un altro medico? Un docente che parla bene di un altro docente? Un cantante lirico che parla bene di un altro cantante lirico? Un idraulico che parla bene di un altro idraulico? E’ la debolezza di noi esseri umani; ma è anche la nostra autenticità, nelle nostre fragilità ed anche nelle nostre ambizioni: di voler dare di più, di più degli altri. Dare. E questo fa la musica. Dà. E questo fa Puccini: dà. E questo ha fatto anche la prima alla Scala con la Tosca. Ha dato. Emozioni. Spettacolo. E diffusione, divulgazione. Voglia di arrivare al di là delle mura del bellissimo teatro. Nella Galleria, nelle piazze, all’aeroporto. Là dove non c’è l’ausilio dello spazio chiuso e sofisticato a creare atmosfera, ma solo la musica e la sua messa in scena; e le persone. Che introiettano la fascinazione di un’armonia, anche se si trovano in piedi o sedute per terra in mezzo ad una strada davanti ad un freddo schermo tecnologico, privo della eleganza di un palco ottocentesco, ma vivificate da una melodia, da un assolo, da una esplosione orchestrale, da una cantante attrice che si getta sul malvagio pugnalandolo, con tutta la carica della propria disperazione. E poi chi lo dice che Tosca non vive con sofferenza il gesto atroce che compie? Mahler? Si sbagliava. Tosca è ad un bivio, o Mario o Scarpia (o se stessa e la propria dignità di donna): non c’è alternativa, non c’è via d’uscita. E sa benissimo, dentro di sé, che non ci sarà via d’uscita nemmeno con il folle omicidio di Scarpia; e che uccidendolo, diventerà come lui. E splendidamente la regia ha reso questa consapevolezza, e questo orrore, con la espressione del volto del soprano che dopo aver ucciso Scarpia, si volta e si rivede, in una controfigura con il medesimo abito: come in uno sdoppiamento di personalità, se stessa altra da sé, ormai fissata nell’orrore della propria scelta. Una soluzione registica innovativa e suggestiva. Così come lo sarà quella di Tosca suicida in volo dai bastioni di Castel Sant’Angelo che, ancora con un gioco ad effetto di controfigura e luci, collocherà la protagonista come in un viaggio sublimato e fuori dal tempo, mentre tutto il contorno, castello e carcerieri, scende verso un profondo nulla, verso un vuoto di senso. Ancora una soluzione registica da palcoscenico ad effetto, creativa, innovativa, ipermoderna, ma ad un tempo fascinosamente classica, perché giocata anche su macchine teatrali, su piattaforme del palco che salgono, scendono e girano: come nella migliore tradizione della commedia dell’arte o del teatro barocco, tanto anticipatore della finzione filmica dei nostri tempi. E in tutto questo, c’è lei, Tosca. Se c’è un personaggio tragico, è Tosca. Se c’è un personaggio sofferente e comunque sconfitto, è Tosca. Se c’è un personaggio realistico, ieri, come oggi, come domani, è Tosca. La passione, l’amore, la sensualità, la gelosia, il sacrificio, il delitto, la sconfitta: la sconfitta. Questo è Tosca. E non mi si dica che è teatralità. Magari. E’ vita, purtroppo. Guardiamoci intorno, e Tosca ci sembrerà poca cosa di fronte alla complessità tragica della vita reale. Oggi, nel 2019, all’alba del 2020. E la musica di Puccini, così come quella straordinaria delle sinfonie mahleriane, ne sono sublimazione e ad un tempo sono risorsa, emozionale ed intellettuale. E questo può e deve arrivare dal palco di un superteatro raffinato e colto, e deve arrivare anche da uno schermo ipermediatico in una piazza. Tutti hanno diritto di emozionarsi, di godere dell’arte, e di trarne carica e ricarica per governare il proprio vissuto quotidiano. E l’arte può essere grande anche nell’errore, che proprio i media – e i social – individuano, evidenziano, moltiplicano; e alla fin fine esaltano. Come lo sbaglio della grande soprano Anna Netrebko, che al secondo atto, nel vivo del drammatico confronto/scontro con Scarpia, ad un certo punto sbaglia battuta, e ripete con la sua potente voce una frase già cantata un attimo prima (“chi m’assicura?”), e subito esprime con espressione inequivocabile del volto e della bocca l’imbarazzo per l’errore compiuto, che rischia di far saltare l’atmosfera della scena: in mondovisione! Una espressione in cui la Netrebko sembra tornare bambina, scoperta con il dito nella marmellata. Paradossalmente il momento più intrigante della performance della soprano. E la bravura straordinaria del baritono Luca Salsi, che si avvede subito dell’errore, sgrana gli occhi quasi sorridendo, e poi smorza l’errore della collega ripetendo anche lui la propria battuta già cantata prima, facendo così ripartire la scena; il tutto seguito dal direttore d’orchestra e dagli orchestrali che senza un’incertezza ripetono anch’essi il passaggio musicale precedente. Quasi come se tutto fosse già previsto dal libretto dell’opera e dalla partitura musicale di Puccini. E tutto riparte, e in fondo in sala nessuno se ne accorge. O quanto meno non si spezza nessun incantesimo. La scena regge, il dramma si evolve, la musica si esalta. Se ne accorgono i media, che con il primissimo piano della ripresa televisiva scoprono l’episodio, e poi con you tube lo ripropongono nelle ore successive. E i social, che lo fanno diventare virale. Ma questa volta senza l’astio che sovente è il clima diffuso sui social. Con indulgenza e amore. E con ammirazione per grandi artisti, grandi professionisti che hanno trasformato un errore in un piccolo capolavoro, immortalato dai media. Reso umano, questa volta, dai media (riguardatevi il video you tube di questa scena: indimenticabile nella sua professionalità, e nella sua umanità). Ed ora alla Netrebko e a Luca Salsi e a Riccardo Chailly vogliamo un po’ più di bene, perché li sentiamo come noi; più bravi di noi con la musica, ma persone come noi. Tutto questo è arte, è emozione, è umanità. Così come lo è il soprano che prima e dopo la rappresentazione “cinguetta” su twitter con i propri fan e con gli appassionati. E’ la Tosca 4.0. Meno sacrale, ma viva ed intensa. E nostra. Oggi. Quella che né Puccini né Mahler avrebbero mai potuto immaginare. Quella di cui noi comuni cittadini e innamorati dell’arte abbiam potuto godere prima, durante e dopo la première al Teatro alla Scala di Milano. Anno di grazia 2019. Passo e chiudo.
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