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L'affascinante duplicità degli impressionisti
21-10-2019 |
Un sabato pomeriggio, in visita ad una mostra: “impressionisti segreti”. Quadri stupendi, per lo più di collezioni private, e dunque meno noti di tante altre opere della pittura impressionista. Ma lungi dal poterli definire minori. Affascinanti. Una galoppata nella bellezza, nella luce, nella tecnica raffinata. E per di più in una cornice suggestiva, a dire poco: Palazzo Bonaparte, all’angolo tra Piazza Venezia e Via del Corso. Il cuore di Roma, pieno di turisti pur nell’ottobre avanzato, in una giornata calda e fresca allo stesso tempo. Con un occhio a quadri bellissimi ed il pensiero a Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone Bonaparte, e alla sua lunga permanenza in questo palazzetto, con il suo balconcino d’angolo, che disegna da solo un pezzo di storia. Con quel figlio, dalla polvere all’altare e di nuovo alla polvere. Con un percorso di vita che, caro Manzoni, come tu chiedevi, i posteri hanno comunque decretato, con amore o avversione che sia: fu vera gloria! E con affreschi e stucchi elegantissimi e molto demodé. E tanti pensieri che ti si affollano in testa mentre giri per le sale con un gruppo di amici e…. con alcune migliaia di altri visitatori! che però non ti infastidiscono, perché senti di condividere con loro un percorso e… una emozione. E con una cuffia di audioascolto in testa e la voce suadente della guida (Silvia… ci mancava pure il tocco leopardiano!) che ti segnala con la precisione della mente critica quello che tu stai cogliendo anche con la emozione dei sensi. Colori forti e delicati che si intrecciano sulle tele, e quasi il rumore dell’acqua della Senna che ti sembra proprio di sentire, in lontananza; uno sciabordio pascoliano, mentre guardi ammaliato un paesaggio di Monet, fiume ed alberi sotto un cielo ovattato, il tutto giocato su un intreccio proprio dei tuoi colori preferirti: verde e blu. La pittura impressionista è affascinante, credo ci siano pochi dubbi. Ed è una pittura che ha il non comune pregio di essere comprensibile, gradevole ed amabile tanto per un pubblico colto e affinato al gusto dell’arte quanto per un pubblico sprovvisto di particolari strumenti critici, ma comunque capace di godere istintivamente per un paesaggio naturale di Monet, per una figura femminile di Renoir o di Manet o per una scena cittadina di Pissarro. Questo non sarà certo un parere da critico d’arte, ma un quadro impressionista ti suscita emozioni sia che tu lo veda nell’originale, all’interno di una mostra, sia che tu ne veda copia fotografica in un poster da affiggere sulla parete di un ufficio, sia che lo ritrovi sul coperchio di una scatola di cioccolatini: già buoni di per sé, ma con quell’inscatolamento fascinoso diventano vera arte per il palato! Va beh, sto irritando gli appassionati d’arte e gli esperti, ma tant’è. A me sembra merito e risultato non da poco per questi straordinari pittori. L’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica, diceva Walter Benjamin. L’arte e la sua funzione educativa, secondo tanta critica realista e secondo chi sostiene una funzione anche pedagogica dell’opera d’arte, sia essa letteraria, pittorica, musicale. La capacità dell’arte di indicare la via per appropriarsi o riappropriarsi di una dimensione umanistica, intersecando la quale ci si rende più capaci di convivere con l’altro, più capaci di cercare e gustare felicità, per quello che la vita può dare. Educare significa aiutare una persona a 'tirarsi fuori' (il latino “educere” questo significa, non dimentichiamolo), a diventare cioè soggetto consapevole di dignità e libertà. E' un compito affascinante e l’arte - che se lo ponga o no come obiettivo, nella mente e nelle intenzioni di chi la realizza - può avere questa capacità. Ma deve “arrivare” dentro a chi le si accosta: nella mente e nei sensi. Sicuramente non era questo l’intento degli impressionisti, nella loro ricerca e nella loro produzione artistica. Ma sicuramente questo è un loro risultato. La ricerca paesaggistica di Monet, che ritrae una medesima immagine in sequenza per ore, nei diversi momenti della giornata e nelle loro varianti di luminosità è ad un tempo suggestione ed emozione, scienza e amore. Un volto di donna di Renoir penetrato nel momento in cui legge un libro e si fa comunicazione e apertura verso l’altro è suggestione ed emozione, scienza e amore. Un boulevard affollato di alberi, veicoli e persone di Camille Pissarro è suggestione ed emozione, scienza e amore. E così un notturno di Cezanne o la scuola di danza e le ballerine di Edgar Degas. Oppure - se volete pensare ad altra forma artistica – un chiaro di luna di Debussy, che ti penetra dentro. Una pavane di Ravel, eros e thanatos. Una Gymnopedie di Erik Satie, brividi e riflessione. Suggestioni ed emozioni, scienza e amore: cioè umanità, cioè vita. Poi ovviamente puoi andare oltre; puoi farti guidare da una studiosa di arte, colta e appassionata. E arrivi alle tecnicalità che fanno arte; perché l’arte è anche questo, linguaggio, anzi di questo inesorabilmente si nutre. Di come si impastano i colori, di come si caricano su una tela; di come li fai diventare segno, immagine. E di come fai ricerca, su luce e colori, su linee e natura, su arte del passato e arte che deve venire, e che tu anticipi, con le tue intuizioni, la tua ispirazione, la tua espressività. E così Monet che apre, con tanto anticipo, a Pollock; chi l’avrebbe mai detto? così lontani e così vicini. E così Cezanne e altri, senza i quali non ci sarebbero stati Picasso e cubisti. E poi Berthe Morisot, una pittrice, artista e donna dalla contorta relazione intellettuale e sentimentale con Edouard Manet. Sì, la prima cosa che si dice di lei, come se una donna non vivesse che di rimbalzo ad un uomo, e mai autonomamente. Una cosa da far irritare pure il più serafico dei caratteri. E infatti quante donne si trovano nella sterminata galleria della pittura di tanti secoli e di tanti paesi? Beh, davvero poche, compresse come sempre in un ruolo subalterno. Tutt’al più fruitrici dell’opera d’arte; oppure soggetto di tante rappresentazioni. Ai nostri tempi probabilmente non è più così, o quanto meno non è più del tutto così. Ma quanta fatica femminile, per conquistarsi un po’ di parità, nell’arte come in ogni campo. E poi guardi un paio di quadri di Berthe Morisot nella mostra, e a casa ne cerchi altri su libri e riviste (bambini e marine, donne e paesaggi) e dici a te stesso: ma non mi sembra poi tanto inferiore ai suoi colleghi uomini, con i quali ha condiviso ricerche ed esperienze, e mostre epocali: da Monet a Sisley, da Renoir a Manet, da Pissarro a Degas. In questa foto di gruppo, lei c’è: a pieno titolo. Anzi. Non sarò un esperto, ma che i curatori della mostra abbiano scelto un suo “donna allo specchio” come immagine icona della mostra e del suo catalogo, ha un po’ il sapore di un risarcimento. Tardivo, che Berthe Morisot non può gustarsi, ma pur sempre un risarcimento. La visita si conclude. Ancora qualche quadro che va oltre l’impressionismo, ma che da lì nasce. Uno stupendo ritratto di donna che suona il violino: pittura e musica. E poi, la confusione nel centro cittadino disordinato, e non sempre affascinante come Roma potrebbe e dovrebbe essere, sempre. E tante sensazioni dentro di te. Un pieno di carburante. E dispiacere di dover salutare una compagnia così bella: gli amici e….. i pittori dell’impressionismo. Ma tanto ci rivedremo… con gli uni e con gli altri.
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