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n. 7920   lettori al   16.07.24
Quando il Sostituto Procuratore è donna. E materana. E irritante. E simpatica. E in gamba
24-09-2019
Beh, ogni tanto guardo anche i programmi televisivi della RAI. Detto senza polemica, anzi con dispiacere. Perché amo il servizio pubblico televisivo; ma da anni trovo la programmazione RAI, tutta, poco sopportabile. Con rammarico.
Negli ultimi anni però ho sempre seguito, con attenzione convinta e con soddisfazione, alcune serie televisive RAI del genere giudiziario/poliziesco, di ambientazione italiana. Tanto per intendersi:” Il Commissario Montalbano”, “Rocco Schiavone”, “I bastardi di Pizzofalcone”, “Nero a metà”. Tutte bellissime, a mio avviso, gradevoli e qualitative, e simili fra loro per vari motivi: un filone di genere. Intanto tutte tratte da romanzi di scrittori, cioè intendo dire non autori televisivi, ma romanzieri a tutto tondo. Con un loro personale contributo alla trasposizione delle proprie opere in format televisivo. Tutte rigorosamente italiane, per contesto socio-culturale e ambientate in luoghi tipici – e affascinanti – italiani; e vari. Dalla Sicilia ad Aosta, da Napoli a Roma. Tutte profondamente calate nel reale: quello di sempre e quello nuovo dell’oggi.
Ma serie televisive anche abilmente fruitrici di alcuni modelli di riferimento stranieri di successo, americani ed europei; di qualità, per impianto narrativo, intreccio poliziesco ben strutturato ed accattivante, ed anche per la umanizzazione dei protagonisti. Commissari di polizia e semplici poliziotti, anatomopatologhi, magistrati, giornalisti di cronaca nera. Un universo di cittadini con le proprie professionalità, le proprie debolezze, i propri tic, i propri problemi privati spesso complessi, le proprie gioie. La propria umanità, insomma. Tutto scontato, se vogliamo, ma tutto molto verosimile, e qualitativo artisticamente, se l’autore è un narratore “professionale”, se lo sceneggiatore ed il regista sono ispirati (e spesso dotati di quel po’ di calligrafismo che in TV paga sempre), se gli attori sono professionisti bravi e ben guidati (i protagonisti, ma sovente anche i caratteristi per le parti cosiddette minori).

Tutto questo, per dire cosa? Che la RAI , a mio avviso, ne ha indovinata un’altra di fiction. Ed esattamente con tutte quelle caratteristiche sopra elencate. Sto parlando di “Imma Tataranni, Sostituto Procuratore”. Nuova serie televisiva di RAI 1, poliziesco/giudiziaria. E’ andata in onda solo la prima puntata, fra i sei episodi previsti, e quindi è bene riservarsi un giudizio più completo a fine percorso. Però la prima impressione è ottima. Una serata televisiva gradevolissima, non esclusi i momenti commoventi, per la realtà umana drammatica di alcuni personaggi.
Va anche detto, che rispetto alle altre serie televisive ricordate prima, questa presenta comunque proprie peculiarità. La principale - ovviamente sempre rispetto alle altre fiction citate - è che la protagonista assoluta è una donna: appunto il sostituto procuratore Imma Tataranni.
Donna dal carattere forte, ma piena di paure come tutti i “forti”, perché consapevoli del reale. Personaggio volutamente antieroico. Moglie innamorata, ma non insensibile alle suggestioni, madre apprensiva in modo compulsivo, nuora in baruffe costanti con la suocera, figlia affezionata ma anche stressata dalla madre ormai “svaporata”. Insomma dinamiche relazionali da vissuto quotidiano reale, non epico. Ma anche donna dotata di ironia, nonché di un pragmatico approccio femminile e femminista al proprio lavoro e al rapporto con gli altri, siano essi colleghi, familiari, colpevoli e vittime, cittadini altri. Imma è donna a tutto tondo, e non trascura mai questa dimensione, pur muovendosi in mezzo ad un ambiente a forti tratti maschili: la Procura, le forze dell’ordine, gli imprenditori fra i quali deve investigare, i cronisti.
E poi c’è il marito, con il quale ha un ottimo rapporto, ma certo fuori dagli stereotipi. E’ lei a fare un lavoro totalizzante che la assorbe, è lei ad avere in qualche modo una leadership familiare, mentre il marito ha ruolo sociale e familiare più defilato. Ma a ben vedere, esattamente come nel reale capita alle donne più frequentemente, gli equilibri in famiglia sono frutto soprattutto del suo modo di fare. Le dinamiche relazionali genitori/figli, marito/moglie, coniugi/suoceri, e persino quelle con il contesto sociale, sono determinate dalla pacata e riservata sapienza comportamentale del marito, più che dalla irruenza e dalla aggressività, sia pure bonaria, di Imma. Che sul lavoro è un mastino. Che non molla. Sempre dando però a colleghi, superiori e…. indagati la sensazione di essere invece un po’ svagata e sul punto di lasciar perdere. Come quando finge di attribuire l’Aida a Puccini, anzichè a Verdi, per ricavare impressioni investigative utili dalla reazione del suo interlocutore.
Indubbiamente il personaggio è un po’ borderline, nel senso che può rischiare da un momento all’altro di scivolare nella forzatura vagamente macchiettistica. Il che, almeno nella prima puntata, non accade, grazie alla qualità narrativa dell’autrice ed all’equilibrio di sceneggiatori, regista e attrice (Vanessa Scalera). E così pure capita con il personaggio del giovane carabiniere - un pochino infatuato – stretto collaboratore nelle indagini della Tataranni. D’altronde il rischio della forzatura e dello scivolamento non lo troviamo anche nelle altre serie romanzesco/televisive? Persino nel Montalbano del grande Camilleri, con il vicecommissario Mìmì, molto in bilico, perché sempre uguale a se stesso, fra don Giovanni fascinoso e fragile adolescente che non vuole invecchiare. Oppure con quell’agente Tatarella che davvero va molto sopra le righe, facendo sorgere sovente la domanda: ma ci fa o ci è? E lo stesso Rocco Schiavone creato dal bravissimo Manzini e interpretato dall’ottimo Giallini, a volte non forza nel gigioneggiare, al di là del profilo sostanzialmente drammatico del personaggio? Ma nel complesso gli equilibri narrativi e la credibilità umana di vicenda e personaggi reggono. E così mi sembra avvenga anche in questa ultima serie televisiva.

E poi c’è Matera. Con tutta la propria sofferta duplicità. Paesaggio favolistico e favoloso, sospeso fra realtà e magia; paesaggio magnetico, ma anche di povertà e, comunque, di complessità sociale ed esistenziale. E Matera in questa fiction televisiva è protagonista: grande. Scenografia struggente, diurna e notturna.

Così come, nella migliore tradizione di queste serie televisive italiane, si conferma la bravura degli attori cosiddetti di contorno. Divertente e commovente la madre della Tataranni, credibile e spontanea nella sua demenzialità senile. E ben delineata Valentina, la figlia adolescente, sempre di umor nero, irritata ed irritante, come tipico degli adolescenti veri (non quelli finti da spot pubblicitario).

E il calligrafismo non manca. Negli interni, nei paesaggi, nello stesso abbigliamento estroso, fuori ruolo e fuori contesto di Imma. Così come vivaci, pieni di ironia e di dinamismo espressivo e lessicale risultano i dialoghi (nei quali il dialetto compare molto, ma più nella parlata che nel lessico, tanto per non creare intralci comunicativi allo spettatore). Molto divertente, ad esempio, il taglio dei dialoghi fra Imma ed il suo superiore. E soprattutto intriganti i monologhi di Imma con se stessa, con voce fuori campo. Divertenti, e veri.
Ma quando si tratta di affondare il coltello nel dolore, il tono di immagini e parole si assesta nella sua dimensione corretta, sofferta e credibile. Come nel caso del colloquio fra la Tataranni e la giovane donna contadina cui è stato mozzato un dito, che darà una svolta decisiva alle indagini.

Insomma, come si sarà capito, questo sceneggiato televisivo, almeno per ora, mi è piaciuto. E confido che così sarà anche per i prossimi cinque episodi. Del resto l’autrice, Mariolina Venezia, è scrittrice autentica, di spessore, che ha collaborato anche alla sceneggiatura televisiva e che ha così presentato il suo personaggio: “In Imma c’è la forza dei deboli che credono in se stessi. La forza dei giovani, delle donne, del Sud”.

Sui media ci si è subito lanciati nel definire questa serie come la risposta femminile a Montalbano. Ma lascerei perdere questa impostazione, che parte sempre e comunque da una centralità maschile cui la versione femminile fa tutt’al più da contraltare, quasi non potendo vivere di dimensione autonoma. No, direi piuttosto e più semplicemente: “Imma Tataranni sostituto procuratore” è una bella serie televisiva giudiziario/poliziesca; protagonista è una donna. Che è se stessa. Non risponde a nessuno. E’se stessa. Ed è donna. Punto.

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