Carlo Goldoni
Una delle ultime sere di carnovale

Regia di Luigi Squarzina
con Lucilla Morlacchi, Eros Pagni,
Lina Volonghi, Omero Antoniutti

Una delle ultime sere di carnovale è una commedia in prosa in tre atti di Carlo Goldoni del 1761, messa in scena la prima volta il 16 febbraio 1762, al teatro San Luca di Venezia, a coronamento della stagione teatrale che aveva visto il trionfo de Le baruffe chiozzotte e de I rusteghi.

L'autore stesso la definì nella prefazione per l'edizione a stampa come una commedia d'allegoria che ha bisogno di una spiegazione: Domenica, la figlia di Zamaria, rappresenta la Commedia Riformata, mentre madame Gatteau, la nuova moglie di Zamaria che aveva insidiato Anzoletto sperando di averlo tutto per sé, è il simbolo della Comédie Italienne. All'interno dell'opera, assume una particolare valenza la discussione tra madame Gatteau e Anzoletto in merito alla lingua da adoperare: l'una (alla quale viene sovente richiesto di usare l'italiano) parla un giocoso italo-francese, l'altro il dialetto veneziano sconfinante nell'italiano.

La scena si svolge a Venezia. Nella casa-laboratorio del commerciante di stoffe Zamaria, la cui giovane figlia Domenica è innamorata del disegnatore di stoffe Anzoleto, si festeggia la fine del Carnevale: si chiacchiera, si gioca al gioco di carte meneghella, si balla, si cena. Ma quando Anzoletto comunica che partirà per la Moscovia (Se vol provar, se una man italiana, dessegnando sul fatto, sul gusto dei moscoviti, possa formar un misto, capace de piàser ale do nazion) con madame Gatteau, anziana ricamatrice francese innamoratasi di lui, si scatena la gelosia di Domenica e monta una maretta ..

Liberamente tratto da wikipedia

Carlo Goldoni (Venezia, 25 febbraio 1707 - Parigi, 6 febbraio 1793) è stato un commediografo, scrittore, librettista e avvocato italiano, cittadino della Repubblica di Venezia. È considerato uno dei padri della commedia moderna e deve parte della sua fama anche alle opere in lingua veneta.
Dati i grandi risultati artistici ottenuti in patria con commedie in italiano e in veneziano, nel 1761 Goldoni fu invitato a recarsi a Parigi per occuparsi della Comédie Italienne.
Giunto a Parigi nel 1762, Goldoni dovette subito affrontare varie difficoltà a causa dello scarso spazio concesso alla Commedia Italiana e per le richieste del pubblico francese, che identificava il teatro italiano con quella commedia dell'arte da cui Goldoni si era tanto allontanato. Goldoni fu costretto a riprendere la battaglia per la riforma del Teatro. La sua produzione era destinata alle scene parigine e a quelle veneziane.
Goldoni insegnò l'italiano alle figlie del re di Francia Luigi XV a Versailles e nel 1769 ebbe una pensione di corte. Tra il 1771 e il '72 scrive due opere, Le bourru bienfaisant e L'avare fastueux, in occasione del recente matrimonio tra il Delfino, futuro Luigi XVI, e Maria Antonietta d'Austria. Tra il 1784 e l'87 scrisse in francese la sua autobiografia, Mémoires.
La rivoluzione francese sconvolse la sua vita e, con la soppressione delle pensioni, che gli erano state concesse dal re, morì nella miseria il 6 febbraio 1793, 19 giorni prima di compiere 86 anni. Le sue ossa sono andate disperse. Il giorno dopo la morte, la Convenzione decretava che la pensione gli fosse restituita e che di conseguenza andasse alla moglie vedova.

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Luigi Squarzina (Livorno, 18 febbraio 1922 - Roma, 8 ottobre 2010) è stato un drammaturgo e regista teatrale italiano. E' considerato uno dei protagonisti del teatro italiano del '900. Notevole il suo contributo all'inquadramento della Storia del Teatro italiano con Silvio d'Amico. Contribuì alla definizione di regia critica. Rilevante il suo ruolo di pedagogo e docente universitario di "Istituzioni di regia".

Liberamente tratto da wikipedia


Sem Benelli
La cena delle beffe

Regia di Guglielmo Morandi
con Amedeo Nazzari, Liana Orfei, Orazio Orlando, Giancarlo Sbragia

A Firenze, sul finire del XV secolo, Lorenzo il Magnifico desidera porre fine alle offese e burle che i chiassosi fratelli, Neri e Gabriello Chiaramantesi, arrecano al vile Gianciotto Malespini. Anche la bella e disponibile Ginevra ha lasciato Gianciotto per Neri.
Durante una cena in casa Tornaquinci, che aveva lo scopo di portare pace tra le parti, Neri, subdolamente spinto da Gianciotto, dà in smanie, è ritenuto pazzo e viene quindi imprigionato, così Gianciotto si riprende Ginevra. Uscito di prigione, Neri vuole vendicarsi e si presenta in casa di Gianciotto per ucciderlo. Ma non si avvede che nel....

La produzione RAI è del 1965 con la regia di Guglielmo Morandi (Roma, 30 luglio 1913 - Roma, 15 agosto 1999), regista e sceneggiatore italiano, talvolta accreditato come Billy Moore. Nato a Roma, inizia l'attività nella direzione di spettacoli teatrali, poi frequenta il Centro Sperimentale Radiofonico, ideato da Fulvio Palmieri e diretto da Franco Cremascoli, con le direttive del Ministero dell'Educazione e del CNR, dove vengono tenuti corsi di specializzazione per la radiofonia, di attori, annunciatori, registi, sceneggiatori, tecnici del suono e radiotecnici riparatori.
Dopo tale corso i diplomati verranno assunti dall'EIAR: usciranno annunciatori come Vittorio Cramer, Titta Arista, giornalisti come Pia Moretti e Vittorio Veltroni; tra i registi, figurava lo stesso Morandi, che fu assegnato alle trasmissioni radiofoniche del Servizio Prosa.
Alla fine degli anni trenta Morandi diventa uno dei registi abituali della prosa radiofonica presso la sede di Roma e si alterna nel lavoro con Alberto Casella e Anton Giulio Majano, continuando l'attività anche nel dopoguerra, sino a dirigere anche alcune rappresentazioni nella prosa televisiva della Rai, negli anni cinquanta e sessanta.
Dirige tra l'altro lo sceneggiato televisivo Sherlock Holmes, con Nando Gazzolo nella parte dell'investigatore e Gianni Bonagura in quella del dottor Watson e, successivamente, firma la regia televisiva di Giallo club. Invito al poliziesco con Ubaldo Lay, nel ruolo del tenente Sheridan.
Oltre all'attività di regista si occupa anche di sceneggiature cinematografiche e televisive.

Liberamente tratto da wikipedia

Sem Benelli (Filettole, 10 agosto 1877 - Zoagli, 18 dicembre 1949) è stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano, autore di testi per il teatro e di sceneggiature per il cinema. Fu anche autore di libretti d'opera.
È stato spesso considerato dalla critica un D'Annunzio in minore ("ciabatta smessa del dannunzianesimo" lo definì addirittura in maniera un po' ingenerosa Giovanni Papini), ma il suo talento letterario è stato rivalutato fino a considerarlo come una fra le maggiori espressioni della tragedia moderna.
Il drammaturgo pratese fu autore del testo teatrale La cena delle beffe, tragedia ambientata nella Firenze medicea di Lorenzo il Magnifico, che ebbe un successo clamoroso e tale comunque da consegnare il suo nome alla storia della letteratura. Da questa tragedia fu tratto nel 1941 dal regista Alessandro Blasetti l'omonimo celebre film con Amedeo Nazzari e Clara Calamai.
Dalla riduzione del testo a libretto, venne ricavata da Umberto Giordano l'opera omonima andata in scena in prima rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano il 20 dicembre 1924. La sola bibliografia teatrale di Benelli comprende una trentina di titoli, sviluppati nell'arco di una quarantina di anni e articolati tanto su drammi sociali quanto su commedie di ambientazione di tipo borghese.

Liberamente tratto da

wikipedia


Ugo Betti
La regina e gli insorti

Regia di Ottavio Spadaro
con Edmonda Aldini, Tino Carraro, Lino Troisi

Storia di un'avventura che lacera le coscienze e che ha per protagonisti fuggiaschi e rivoltosi, donne e uomini, un infernetto di pavidi, di opportunisti e di intransigenti. La prostituta Argia cade in mano ai ribelli in conflitto col potere centrale, e insieme a lei, su un camion che avrebbe dovuto varcare il confine, si trascina un'umanità che cerca scampo. Il sequestro avviene in un ex municipio, un palazzo di sbrecciato decoro, e presto constatiamo che Argia s'è in realtà mossa per condividere il destino del suo amante, Raim, uno speculatore mascheratosi nelle file degli insorti, che freddamente la ripudia. Però lei sbandiera un'arma: ha riconosciuto, fra gli esuli con cui viaggia, la regina Elisabetta, la sovrana cui s' addebitano sciagure e misfatti del governo, e lo svelamento della sua identità potrebbe far molto comodo alla coppia di lei e del suo amante. Senonché fallisce (per ripensamento di Argia, impietosita) un agguato che avrebbe tolto di mezzo la monarca ansiosa solo di sopravvivere, ed ecco che questa grezza, appassionata e umiliata figura di piccola borghese senza rango realizza d' essere scambiata per la regina momentaneamente involatasi, e di fronte ai cosiddetti aguzzini...

Liberamente tratto da ricerca.repubblica.it

La produzione RAI è del 1969 con la regia di Ottavio Spadaro (Catania, 2 gennaio 1922 - Roma, 29 gennaio 1996), regista, sceneggiatore e direttore artistico italiano. La sua prima regia da professionista è stata Corruzione al Palazzo di giustizia, di Ugo Betti, (Teatro delle Arti di Roma il 7 gennaio 1949). Da quella messa in scena nacque un'amicizia con il drammaturgo marchigiano che si concretizzò con numerosi allestimenti dei suoi testi per il teatro, la radio e la televisione.

Liberamente tratto da wikipedia

Ugo Betti (Camerino, 4 febbraio 1892 - Roma, 9 giugno 1953) è stato un poeta, drammaturgo e giudice italiano.
Arruolato come volontario allo scoppio della I Guerra Mondiale, venne fatto prigioniero dopo Caporetto e internato a Rastatt, insieme agli scrittori Carlo Emilio Gadda e Bonaventura Tecchi, che diventeranno suoi amici. Alla fine del conflitto finì i suoi studi e divenne un giudice.
Nel 1945 è cofondatore, insieme a Diego Fabbri, Sem Benelli, Massimo Bontempelli, e altri autori teatrali, del Sindacato Nazionale Autori Drammatici (SNAD), con l'intento di salvaguardare il lavoro dei drammaturghi e degli scrittori teatrali. I suoi drammi sono pervasi dall'idea di fondo dell'impossibilità di separare il bene dal male, di perseguire una giustizia corretta ed efficace, di percepire un'esistenza priva di un'entità superiore. Lo smarrimento dell'essere umano di fronte all'imperscrutabilità della vita è stato espresso da Betti con un duplice effetto: rassegnazione per la condizione dell'uomo e speranza nella ulteriore vita dopo la morte. Complessivamente scrisse 27 drammi. Fra le sue opere più importanti ricordiamo Frana allo scalo nord, Corruzione al Palazzo di giustizia, Lotta fino all'alba e Delitto all'isola delle Capre, che gli aprirono la strada dei palcoscenici internazionali.

Liberamente tratto da wikipedia


Henry Beque
I corvi

Regia di Sandro Bolchi
con Rina Morelli, Renzo Ricci Ileana Ghione, Lina Volonghi
Paolo Stoppa, Tino Carraro

I corvi è una commedia in quattro atti di Henry Becque, composta attorno al 1878 e rappresentata per la prima volta alla Comédie-Française di Parigi nel 1882.
La commedia è ambientata nella ricca dimora parigina della famiglia Vigneron. La moglie dell'industriale Monsieur Vigneron, sta organizzando una cena alla quale sono invitati l'anziano Monsieur Teissier, socio in affari di Vigneron, Bourdon, notaio dei due imprenditori, Georges de Saint-Genis, promesso sposo di una delle tre figlie di Vigneron, sua madre Madame de Saint-Genis e i suoi testimoni di nozze, il generale Fromentin e Monsieur Lenormand. Monsieur Vigneron scherza con il figlio e le figlie, preoccupate per la sua salute, e nell'allegria generale dell'atmosfera manifesta soddisfazione per la condizione agiata che ha raggiunto grazie alla collaborazione con Teissier. Poco prima della cena tuttavia, colpito da un'apoplessia fulminante, Monsieur Vigneron muore.
Alla costernazione per la perdita si aggiunge la scoperta che la fortuna di Monsieur Vigneron è molto più esigua di quanto si pensasse: egli guadagnava denaro, ma non possedeva riserve consistenti, e i suoi investimenti non hanno un valore sicuro in assenza dell'uomo che avrebbe dovuto tenerli sotto costante controllo per farli fruttare.
Man mano che questo stato di cose viene alla luce, coloro che erano gli alleati della famiglia Vigneron la abbandonano al suo destino, e compaiono da ogni parte creditori spietati...

Liberamente tratto da wikipedia


La produzione RAI è del 1969. Sandro Bolchi (Voghera, 18 gennaio 1924 – Roma, 2 agosto 2005), regista e critico televisivo. Come Anton Giulio Majano è considerato il "regista degli sceneggiati televisivi" per antonomasia; ebbe il merito di rendere popolari molti grandi classici della letteratura italiana e internazionale, anche grazie alla partecipazione di grandi attori, quasi tutti di provenienza teatrale

Henry François Becque (Parigi, 28 aprile 1837 – Parigi, 12 maggio 1899) è stato un drammaturgo francese. Anche se la sua produzione fu esigua, poco nota e contraddittoria, il teatro becqueriano rappresentò una svolta all'interno della tradizione ottocentesca. Il suo pensiero artistico si distinse sia dal naturalismo di Émile Zola sia dall'idealismo romantico di Alexandre Dumas figlio. Secondo la concezione di Becque la verità del reale è già, intrinsecamente, produzione lirica, quindi è sufficiente fissarla, come una fotografia, sulla pagina di un libro. In pratica l'autore propugnò un classico e innovativo verismo.

Liberamente tratto da wikipedia


John Osborne
Ricorda con rabbia

Regia di Mario Missiroli
con Anna Maria Guarnieri, Giulio Brogi, Antonello Pischedda, Ilaria Occhini, Fosco Giachetti

Ricorda con rabbia (Look Back in Anger) è una commedia di John Osborne del 1956.
La storia riguarda un triangolo amoroso tra un giovane uomo intelligente ma mal disposto, Jimmy Porter, la sua impassibile moglie borghese, Alison, e la sua altezzosa migliore amica Helena Charles. Cliff, un amichevole pensionante gallese, tenta di mantenere la pace. La commedia ha avuto un grande successo sui palcoscenici di Londra, ed ha prodotto l'espressione "giovani arrabbiati" per descrivere Osborne e gli altri scrittori della sua generazione che impiegarono durezza e realismo, in contrasto con ciò che era visto in precedenza.
Una calda domenica pomeriggio nella piccola soffitta di Jimmy e di Alison, in Gran Bretagna. Jimmy e Cliff stanno tentando di leggere i giornali della domenica, oltre al settimanale radicale, "dal prezzo di 9 pence, trovabile in qualsiasi edicola" come afferma Jimmy, sottraendoli dalle mani di Cliff. Questo è un riferimento al New Statesman, e nel contesto del periodo sono immediatamente esplicitate al pubblico le preferenze politiche dei due. Alison sta tentando di stirare e sta ascoltando solo a metà mentre Jimmy e Cliff stanno parlando.
C'è un enorme abisso sociale tra Jimmy e Alison. La famiglia di lei appartiene alla borghesia militare medio-alta, forse al limite della classe più alta, mentre Jimmy appartiene decisamente alla classe dei lavoratori. Egli ha dovuto lottare duramente contro la disapprovazione della sua famiglia per conquistarla. "La mamma di Alison e io ci guardiamo a vicenda" Apprendiamo inoltre che l'unica entrata della famiglia proviene da un banco di dolci nel mercato locale.

Tratto da wikipedia


La produzione RAI è del 1969. Mario Missiroli (Bergamo, 13 marzo 1934 - Torino, 19 maggio 2014), regista e direttore artistico teatrale, fin dagli anni '60, è stato uno dei più innovativi e provocatori registi italiani con messinscene originali e di successo .

John Osborne (Londra, 12 dicembre 1929 – 24 dicembre 1994) è stato un drammaturgo britannico. A soli diciannove anni cominciò a lavorare come attore e poi commediografo. Nel 1956 venne accettato nella "English Stage Company" e divenne inaspettatamente famoso con la commedia Look back in anger, l'opera teatrale che lo rivelò nel 1956, tenne cartello per 18 mesi a Londra, dopo esser stata rifiutata da molti impresari, e a dispetto delle critiche stroncatorie.
Il suo successo era dovuto al fatto che larghi settori di pubblico, specie giovanile e intellettuale, vi trovavano espressi senza peli sulla lingua i loro problemi. In quell'opera, come in quelle che seguirono, l'establishment britannico era travolto da un'ondata di ribellione violenta, globale, dissacrante.
Al centro del teatro di Osborne è il rapporto tra l'individuo e la società. L'economia del benessere, il carrierismo, il conformismo sono visti come un muro contro cui s'infrangono tutte le istanze di rinnovamento, le ribellioni, le critiche.
Nel 1964 vinse il premio Oscar alla migliore sceneggiatura non originale per il film Tom Jones.

Tratto da wikipedia


Albert Camus
I giusti

Regia di Enrico Colosimo
con Giulio Bosetti, Lucilla Morlacchi
Tino Carraro
, Pietro Nuti

È più giusto far saltare in aria con la nitroglicerina il Granduca e tutta la sua famiglia, in nome delle sterminate masse oppresse e di tutti i bambini che patiscono la fame nella grande Madre Russia, oppure lasciarsi fermare dallo "sguardo serio che a volte i bambini hanno", proprio quello dei figli del Granduca che viaggiano, in carne e ossa, sulla stessa carrozza scoperta.
"I giusti" di Albert Camus è stato scritto in tempi in cui interrogarsi sulle possibilità e la necessità di una trasformazione radicale dell'esistente sembrava il compito fondamentale degli intellettuali.
A quali condizioni la ribellione può essere giustificata e quali limiti si deve porre. È possibile dare una giustificazione morale alla violenza e al terrorismo rivoluzionario? Il focus della rappresentazione si centra sul dramma dei personaggi di fronte a un dilemma etico, un caso di coscienza, che riguarda tutti: decidere se la violenza della ribellione possa essere giustificata.
I protagonisti sono un gruppo di giovani rivoluzionari, quattro uomini e una donna. Kaliayev l'attentatore. Dora, unica donna della cellula terroristica, innamorata dell'idea rivoluzionaria di giustizia non meno che di Kaliayev, dal quale vorrebbe essere riamata come donna di carne e sangue non meno che come generico rappresentante dell'Umanità. Stepan il più radicale del gruppo, Annenkov capo della cellula terroristica. Voinov personaggio lacerato dai dubbi.

Descrizione estratta da popoffquotidiano.it


La produzione RAI è del 1970. Il regista Enrico Colosimo è stato anche sceneggiatore e docente d'opera lirica, di teatro, televisione e radio. Ha tenuto la cattedra all'Accademia Antoniana d'Arte Drammatica di Bologna ed è stato titolare della cattedra d'arte scenica e di storia del teatro al Conservatorio di Musica di Ferrara "Frescobaldi" e "Cherubini" di Firenze.

Albert Camus (Dréan, 7 novembre 1913 - Villeblevin, 4 gennaio 1960) è stato uno scrittore, filosofo, saggista, drammaturgo, giornalista ed attivista politico francese.
Con la sua multiforme opera è stato in grado di descrivere e comprendere la tragicità di una delle epoche più tumultuose della storia contemporanea, quella che va dall'ascesa dei totalitarismi al secondo dopoguerra e al concomitante inizio della guerra fredda. Non solo: le sue riflessioni filosofiche, magistralmente espresse in immagini letterarie, hanno una valenza universale e atemporale capace di oltrepassare i meri confini della contingenza storica, riuscendo a descrivere la condizione umana nel suo nucleo più essenziale.
Il suo lavoro è sempre teso allo studio dei turbamenti dell'animo umano di fronte all'esistenza, in balia di quell'assurdo definito come "divorzio tra l'uomo e la sua vita". L'unico scopo del vivere e dell'agire, per Camus, che pare esprimersi dialetticamente fuori dell'intimità esperienziale, sta nel combattere, nel sociale, le ingiustizie oltre che le espressioni di poca umanità, come la pena di morte: "Se la Natura condanna a morte l'uomo, che almeno l'uomo non lo faccia", usava dire.
Camus ricevette il Premio Nobel per la letteratura nel 1957. Malato da anni di tubercolosi, morì nel 1960 in un incidente stradale.

Tratto da wikipedia


Ettore Petrolini
Chicchignola

Regia di Maurizio Scaparro
con Mario Scaccia, Luciano Virgilio
Silvia Novelli
, Leda Negroni
Ettore Pasquale Antonio Petrolini (Roma, 12 gennaio 1884 - Roma, 29 giugno 1936) è stato un attore, drammaturgo, scrittore, sceneggiatore e compositore italiano, specializzato nel genere comico. È considerato uno dei massimi esponenti di quelle forme di spettacolo a lungo considerate teatro minore, termine con il quale si identificavano il teatro di varietà, la rivista e l'avanspettacolo.
La sua importanza nel panorama del teatro italiano è ormai pienamente riconosciuta. Riassumendo in sé l'attore e l'autore, Petrolini ha inventato un repertorio e una maniera, che hanno profondamente influenzato il teatro comico italiano del Novecento.

Considerata la più bella commedia di Ettore Petrolini, Chicchignola è' la storia di un pover'uomo onesto ed intelligente che tira avanti la vita costruendo e vendendo giocattoli su un carrettino per le strade di Roma. Soltanto perché è un galantuomo, i furbi, gli egoisti, i mascalzoni, lo reputano un cretino capace di subire ogni torto, ogni affronto, ogni ingiuria e ogni inganno; non escluso quello di essere fatto cornuto dalla propria amante, Eugenia, col suo migliore amico, Egisto, un norcino furbo, pieno di soldi "sporchi di salumi".
Ma la giustizia viene per tutti, e per Chicchignola arriva sotto forma di ...
La ripresa RAI è del 1977

Descrizione estratta da firenzetoday.it

Maurizio Scaparro (Roma, 2 settembre 1932) è un regista, critico teatrale e docente italiano.
L'attività di Scaparro inizia come critico teatrale per giornali come l'Avanti!, cui seguirà la fondazione, nel 1961, della rivista Teatro Nuovo. Sin da piccolo si cimentò nella recitazione, nel giro di qualche tempo presa come un gioco e subito abbandonata.
Divenne in seguito direttore artistico di diverse realtà teatrali, tra cui il Teatro Stabile di Bologna, il Teatro Stabile di Bolzano, il Teatro di Roma ed il Teatro Eliseo. Contemporaneamente, si è prodotto come regista teatrale, debuttando al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1965 con La Venexiana, commedia di anonimo del '500.
Tra gli altri incarichi degni di nota, nel periodo 1979-1983 è stato direttore del Festival Internazionale di Teatro all'interno della Biennale di Venezia.
Esordisce alla regia cinematografica nel 1983 con il Don Chisciotte tratto dall'omonimo romanzo di Cervantes, un adattamento a film per la TV che vede impegnato l'attore Pino Micol nei panni del protagonista, affiancato tra gli altri da Peppe Barra e Evelina Nazzari.
Scaparro svolge inoltre attività didattica come docente di storia del teatro per l'Università Telematica Internazionale dei canali di Rai Nettuno sat.

Tratto da wikipedia


Ettore Petrolini
Gastone
con Mario Scaccia, Toni Ucci
Miranda Martino
, Franca Tamantini

Ettore Pasquale Antonio Petrolini (Roma, 12 gennaio 1884 - Roma, 29 giugno 1936) è stato un attore, drammaturgo, scrittore, sceneggiatore e compositore italiano, specializzato nel genere comico. È considerato uno dei massimi esponenti di quelle forme di spettacolo a lungo considerate teatro minore, termine con il quale si identificavano il teatro di varietà, la rivista e l'avanspettacolo.
La sua importanza nel panorama del teatro italiano è ormai pienamente riconosciuta. Riassumendo in sé l'attore e l'autore, Petrolini ha inventato un repertorio e una maniera, che hanno profondamente influenzato il teatro comico italiano del Novecento.

Gastone è una commedia, nata da una macchietta, Il bell'Arturo, inserita nella rivista Venite a sentire del 1915 (scritta da Petrolini in collaborazione con G. Carini), che irrideva sia le star del declinante cinema muto sia i cantanti dell'epoca di Gino Franzi, e che fu ripreso più volte fino a diventare il tragicomico protagonista della commedia Gastone del 1924.
Rappresentata per la prima volta nel 1924 al teatro Arena del Sole di Bologna, la commedia musicale Gastone, è una satira, ironica ed amara, della società dello spettacolo degli anni venti, e dei personaggi meschini, avidi, invidiosi e gretti che vi fanno parte. Esemplare rappresentante di questo mondo di presunti artisti è il protagonista, appunto Gastone, istrionico e carismatico attore di varietà di infima categoria, dalla affabulante parlantina romanesca, squattrinato, dedito a mille vizi, corteggiatore di tutte le soubrette e ballerine, dai modi esagerati e teatrali ma fondamentalmente malinconico e solo.
La produzione RAI è del 1977 con la regia di Maurizio Scaparro

Maurizio Scaparro (Roma, 2 settembre 1932) è un regista, critico teatrale e docente italiano.
L'attività di Scaparro inizia come critico teatrale per giornali come l'Avanti!, cui seguirà la fondazione, nel 1961, della rivista Teatro Nuovo. Sin da piccolo si cimentò nella recitazione, nel giro di qualche tempo presa come un gioco e subito abbandonata.
Divenne in seguito direttore artistico di diverse realtà teatrali, tra cui il Teatro Stabile di Bologna, il Teatro Stabile di Bolzano, il Teatro di Roma ed il Teatro Eliseo. Contemporaneamente, si è prodotto come regista teatrale, debuttando al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1965 con La Venexiana, commedia di anonimo del '500.
Tra gli altri incarichi degni di nota, nel periodo 1979-1983 è stato direttore del Festival Internazionale di Teatro all'interno della Biennale di Venezia.
Esordisce alla regia cinematografica nel 1983 con il Don Chisciotte tratto dall'omonimo romanzo di Cervantes, un adattamento a film per la TV che vede impegnato l'attore Pino Micol nei panni del protagonista, affiancato tra gli altri da Peppe Barra e Evelina Nazzari.
Scaparro svolge inoltre attività didattica come docente di storia del teatro per l'Università Telematica Internazionale dei canali di Rai Nettuno sat.

Tratto da wikipedia


Guglielmo Giannini
La sera del sabato
con Aldo Giuffré, Antonio Battistella
Gabriele Antonini
, Maresa Gallo
Guglielmo Giannini (Pozzuoli, 14 ottobre 1891 - Roma, 10 ottobre 1960) è stato un giornalista, politico, scrittore, regista e drammaturgo italiano.
Nato a Pozzuoli, da Federico, giornalista napoletano d'origine pugliese, e dall'inglese Mary Jackson, è cresciuto a Napoli. Di famiglia appartenente alla media borghesia, tuttavia abbandonò assai presto la scuola per esercitare i più diversi mestieri (da muratore a commesso in un negozio di stoffe) prima di approdare al giornalismo, in modesti fogli satirici. Viaggiò per l'Europa: qui si appassionò al romanzo giallo ed iniziò a scrivere con questa tecnica vari copioni.
Alla fine del 1944 Giannini si mise a capo di un movimento d'opinione chiamato Fronte dell'Uomo Qualunque, il cui motto era "non ci rompete più le scatole": nel 1944 nacque il settimanale dell'Uomo Qualunque (che ebbe una tiratura media di 800.000 copie).
Poco dopo nacque anche il partito. La lista, che avrebbe generato una nuova pseudo-ideologia politica, chiamata appunto "qualunquismo", ottenne il 5,3% dei voti alle elezioni politiche del 1946, potendo così contare su 30 deputati all'Assemblea costituente, tra cui lo stesso Giannini, che divenne capogruppo alla Camera.

Tratto da wikipedia

La sera del sabato è una produzione RAI del 1966, affidata alla regia di Anton Giulio Majano.
Nella Little Italy, una ragazza, di nome Gloria White (Maresa Gallo), ha ereditato la licenza di un piccolo bar. Il locale è di proprietà di Tony Savarese (Aldo Giuffrè), un amico del padre della ragazza. Personaggio malavitoso ma con una sua morale, Savarese ha aiutato la ragazza dopo la morte del padre. Tuttavia questa protezione continua anche quando non ce ne sarebbe più bisogno e Gloria pur essendogli riconoscente per l'aiuto ricevuto, comincia a sentire anche un forte imbarazzo. Infatti sul suo rapporto col Savarese circolano varie voci: sarà la sua amante o sua figlia? Intanto, l'omicidio di un certo Nicola Stefanopulos (Diego Michelotti) e l'inchiesta dell'italoamericano ispettore Brown (Antonio Battistella) danno alla trama una piega decisamente drammatica. Savarese per difendere la ragazza, affronta un pericoloso assassino, che riesce a smascherare, ma a caro prezzo.
Un grande Aldo Giuffré interpreta il personaggio protagonista che Giannini aveva originariamente creato per Raffaele Viviani.

Tratto dalla scheda di mymovies.it


Ugo Betti - Frana allo scalo nord
con
Salvo Randone, Fosco Giachetti
,
Lucilla Morlacchi, Sergio Tofano
Ugo Betti, partendo dalla sua esperienza di magistrato, abituato a penetrare nei meandri dell'intreccio tra responsabilità, colpa, omissione, propone nelle sue opere un'idea di teatro come luogo nel quale si compie un iter lungo il quale si condensa la dimensione tragica dell'esistere.
Un cammino verso la scoperta dell'uomo e talvolta del divino, che parte dall'analisi dei fatti disaggregati per giungere a considerazioni di carattere etico che coinvolgono il soggetto e la collettività di cui fa parte.

Nel 1920 Betti pubblica a Camerino un saggio giuridico dal titolo Considerazioni sulla forza maggiore come limite di responsabilità nel vettore ferroviario, in cui affronta il problema della colpa individuale nel caso di una inondazione con cedimento di terreno lungo una scarpata della linea ferroviaria. Da questo studio, con il quale partecipa al concorso per avvocato delle Ferrovie dello Stato, egli trae, a distanza di più di dieci anni, il nucleo centrale del rapporto dialettico tra responsabilità soggettiva e collettiva.
Nasce così Frana allo Scalo Nord, "uno dei capolavori del Betti e del teatro del nostro secolo" secondo Pasquale Tuscano.

Il dramma è impostato sul modello dell'istruttoria giudiziaria. Nel primo atto si compie il rito degli interrogatori dei testimoni e si individuano le richieste di perizia per l'acquisizione delle prove, nel secondo atto si effettua il sopralluogo sul cantiere dove è avvenuto l'incidente, nel terzo atto si ritorna nelle aule del tribunale per emettere la sentenza. Senonché nel lungo e intricato cammino verso il verdetto, il libero convincimento del giudice, da cui dovrebbe scaturire il giudizio di condanna, subisce un progressivo smontaggio motivazionale, determinato dall'ascolto di testimonianze che sono tragici documenti di vita vissuta nel dolore sia da parte dei poveri che da parte dei ricchi, dall'incontro con i morti nella sciagura che attestano anche nei gesti la loro condizione di sofferenza, dall'irrompere delle considerazioni sociologiche e delle ragioni etiche nella ricerca delle responsabilità.

Estratto dal testo di Alfredo Luzi


Renato Simoni
Tramonto
con Cesco Baseggio, Wanda Capodaglio, Wanda Benedetti, Nando Tomei

Siamo in un paese del Veneto, di cui è sindaco il Conte Cesare, autoritario ed egoista in casa come fuori. La sua volontà è la sola che conti, per cui le sue decisioni non ammettono obiezioni di sorta. Si sente superiore in tutto, anche nell'ambito della morale, motivo per cui rifiuta al povero Marasca il posto di maestro comunale, perché colpevole di aver tollerato troppo a lungo in casa la moglie adultera prima di scacciarla. Allora questi gli rivela che anche lui, vent'anni prima, avrebbe dovuto fare la stessa cosa. La rivelazione lo ferisce nel profondo, distruggendo la sua sicurezza e il suo orgoglio. Comincia allora ad indagare con allusioni e sottintesi per conoscere la verità, finché la moglie Eva, uscendo dal suo stato di soggezione, confessa di aver cercato l'amore in un altro uomo poiché nel marito aveva trovato solo un tiranno. Cesare cerca allora sostegno nella vecchia madre e si sforza di cambiare atteggiamento verso gli altri: ma oramai tutto è inutile, continuare a vivere per lui non ha alcun senso. Tramonto è un testo molto moderno ed è per questo motivo che mi sembrava adatto per farne uno spettacolo oggi. Penso che la sua modernità sia racchiusa soprattutto nella sua affinità con alcuni autori nordici, primo fra tutti viene in mentre Ibsen. Ci sono in "Tramonto" delle assonanze con la drammaturgia ibseniana e da qui mi sono mosso per andare verso una visione che potenziasse la suspense narrativa di Simoni. Per far ciò ho destrutturato la suddivisione in atti e scene, reimpostando il testo come un atto unico e inventando un finale determinato a far uscire "Tramonto" dagli stereotipi legati al teatro dialettale, con l'ambizione di esaltarne il valore intimistico e psicologico per dargli tutta la valenza culturale che a mio avviso merita. I personaggi principali sono tre: La Baronessa, suo figlio Cesare, sua moglie Eva. Sono tre personaggi legati profondamente tra di loro: tutto quello che accade ad uno si ripercuote sugli altri. Cesare scopre che la moglie lo ha tradito, ma si può rimediare, anzi: sarà un'occasione in più per esercitare la sua volontà, la sua forza. Ma la moglie si dimostra altrettanto orgogliosa. Cesare quindi rimbalza verso la madre con la quale è impensabile qualsiasi affetto: "vorìa che no te fussi mai nato" saranno le ultime parole della Baronessa. Cesare comprende che la tragedia non è il tradimento della moglie, (come una lettura tradizionale del testo porta a considerare), bensì l'odio della madre. Quindi il tradimento della moglie diventa quasi necessario perché gli apre una possibilità di comprensione autentica sulla sua esistenza. Tramonto è una commedia amara, dove si ragiona e si discute di filosofia... dove si soffre e si litiga... dove Simoni accosta, accanto al dramma, l'ironia e il buonumore del vecchio segretario comunale o del prete di famiglia buongustaio... dove ci si illude di conoscere la verità sugli altri e su se stessi e dove ci si scopre piccoli e paurosi, come un uccello che uscendo dalla sua gabbia comprende che in realtà non sa volare...

Dal testo di Damiano Michieletto

Renato Simoni, noto anche con gli pseudonimi di Turno e Il nobiluomo Vidal (Verona, 5 settembre 1875 - Milano, 5 luglio 1952) è stato un critico teatrale, giornalista, commediografo, poeta, librettista, regista e sceneggiatore italiano; assieme a Giuseppe Adami è autore del libretto della Turandot.
Il 7 marzo del 1903, giorno seguente al successo della prima rappresentazione de La vedova, sua prima commedia, su pressioni di Giuseppe Giacosa ed Eugenio Balzan venne assunto come critico teatrale al Corriere della Sera.


Renato Simoni
Carlo Gozzi
con Gastone Moschin e Giuliana Lojodice
Simoni scrisse nella prima metà del '900 il testo Carlo Gozzi al quale la regista Luciana Ravazzin si è ispirata, assieme alle Fiabe teatrali d i Gozzi, per allestire la sua commedia El nobilomo... le so done... le so strighe in scena (alle 21.30) fino a giovedì al chiostro di Santa Maria in Organo. Intenso lavoro di rivalutazione, quello del nutrito gruppo Renato Simoni impegnato in un affresco della vita tribolata e del talento narrativo del commediografo veneziano, le cui doti però state oscurate dalla fama di Carlo Goldoni.
Con mano sapiente la Ravazzin ha attinto alla meticolosità del giornalista e commediografo Simoni e alla sua puntualità di storico, mettendo in evidenza in vernacolo attraverso una fedele indagine psicologica, un composito gruppo di famiglia in un interno, la famiglia Gozzi, appunto. Ciò che preme a Gozzi, scrittore fantasioso, interpretato da un incisivo Maurizio Ravazzin è proteggere e difendere a spada tratta la dignità e la nobiltà del casato. In questa cornice tribolata di commedia "arrabbiata" piuttosto che "malinconica", spicca i n primis ciò che il Gozzi stesso rappresenta, ossia un personaggio a cavallo tra due epoche. Interessante perciò è stata la soluzione della Ravazzin (sul palcoscenico nel ruolo della cameriera Lucrezia, alter ego della situazione) di rivalutare la figura del Gozzi e di farla uscire dall'ombra attraverso un lavoro che ha sottolineato la psicologia delle donne del tempo, ritenute streghe pettegole, ed invece streghe affascinanti perché schiette, argute e quindi eterne.
Con un escamotage preso in prestito alle regole dell'arte scenica tipica della lirica, dunque, la piéce del Renato Simoni è andata oltre il semplice canovaccio della commedia umana e ha proposto nel secondo atto i personaggi cartacei del Gozzi che diventano "creature vive" ed escono dal libro, specie Turandot, principessa cinese, interpretata da un'intensa Federica Fraccascia, donna di fuoco capace di colpire Renato Simoni stesso col suo fascino, non di eroina gelida, ma di fuoco: ispirazione determinante che spinse poi il Simoni a scrivere insieme a Giuseppe Adami, lo splendido libretto per l'opera di Puccini.
Michela Pezzani

Renato Simoni, noto anche con gli pseudonimi di Turno e Il nobiluomo Vidal (Verona, 5 settembre 1875 - Milano, 5 luglio 1952) è stato un critico teatrale, giornalista, commediografo, poeta, librettista, regista e sceneggiatore italiano; assieme a Giuseppe Adami è autore del libretto della Turandot.
Il 7 marzo del 1903, giorno seguente al successo della prima rappresentazione de La vedova, sua prima commedia, su pressioni di Giuseppe Giacosa ed Eugenio Balzan venne assunto come critico teatrale al Corriere della Sera.


Anton Čhechov
Tre sorelle
In una città di provincia nella quale undici anni prima il padre generale e i figli si erano trasferiti dalla rimpianta Mosca, vivono le tre sorelle Prozorov, attorniate dalla futile ed indolente aristocrazia locale, composta per lo più da ufficiali. Colte, fini, sensibili, le tre donne si sentono sepolte vive in quell'ambiente ristretto, stagnante, sonnolento..., e ricordano sempre con struggente nostalgia Mosca, la grande città, il paradiso perduto.
"Tornare a Mosca" è il loro sogno. Olga, insegnante, fiera di lavorare, vorrebbe tornare a Mosca a tutti i costi; Masha è infelice perché a diciotto anni ha sposato l'insegnante Kuljgiu, ed ora lo trova stupido; Irina ha vent'anni ed è corteggiata da Tuzenbach. Il loro padre è morto, capofamiglia è il fratello Andrej, fidanzato alla timida Natasha: il volgare Solenij, l'affettuoso Cebutjkin, ed il fresco arrivato Versinin completano la cerchia degli ufficiali. Andrej sposa Natasha, lei è moglie meschina e madre apprensiva, lui, annoiato, perde al gioco, fino ad ipotecare la casa; Masha diventa l'amante di Versinin, mentre anche Solenij corteggia Irina, che, stanca di quella vita insulsa, anela Mosca, che le appare sempre più un'illusione, e, per la disperazione, accetta di sposare il brutto Tuzenbach, ora borghese. Un incendio distrugge mezza città, ed i Prozorov si prodigano per accogliere le famiglie senza tetto, compresi i Versanin: Natasha si comporta come la padrona di casa, ingrigendone la vita con i suoi modi borghesi. Solenij, geloso, provoca e sfida a duello Tuzenbach. Il reggimento si trasferisce, lasciando un grande senso di vuoto.

Di questo lavoro teatrale, Silvio D'amico, nella sua Storia del teatro drammatico, diceva che è un dramma in cui "non succede niente". La sostanza della rappresentazione scenica sta in quella dissoluzione della classe aristocratica, di cui le sorelle Prozorov sono tre aristocratiche sopravvissute, incapaci di fare i conti con le nuove classi emergenti in un periodo storico di grandi cambiamenti, preconizzati e temuti.

Gli attori che lo interpretano sono tanti e di grande livello:
Andriej Serghievic: Enrico Maria Salerno; Anfissa: Elvira Betrone; Cebutykin: Salvo Randone; Fedòtik: Davide Montemurri; Ferapont: Lionello Zanchi; Irina: Valeria Valeri; Kulyghin: Ernesto Calindri; Mascia: Elena Zareschi; Natascia: Milly Vitale; Olga: Lilla Brignone; Rodè Vladimir Càrlovic : Ruggero De Daninos; Solignij: Luciano Alberici; Tusenbach: Giulio Bosetti; Vierniscin: Gianni Santuccio.

Liberamente tratto da wikipedia

Anton Chechov
Il giardino dei ciliegi
Il giardino dei ciliegi è l'ultimo lavoro teatrale di Anton Čechov.
Fu rappresentato per la prima volta il 17 gennaio 1904 al Teatro d'Arte di Mosca sotto la direzione di Kostantin Sergeevič Stanislavskij e di Vladimir Nemirovič-Dančenko. Sei mesi dopo Čechov morì di tubercolosi. Čechov concepì quest'opera come una commedia poiché contiene alcuni elementi di farsa. Tuttavia Stanislavski la diresse come una tragedia. Dopo questa produzione iniziale, i registi hanno dovuto attenersi alla duplice natura dell'opera.
L'opera narra le vicende di un'aristocratica russa e della sua famiglia al ritorno nella loro proprietà (che comprende anche una grande coltivazione di amareni, il giardino dei ciliegi dell'accettata ma imprecisa traduzione italiana), in seguito messa all'asta per riuscire a pagare l'ipoteca. Principalmente la storia ruota intorno alle varie possibilità per conservare la tenuta, ma la famiglia non si adopera in questo senso e alla fine è costretta a lasciare la proprietà; la scena finale mostra la famiglia che se ne va mentre il rumore degli alberi abbattuti fa da sottofondo. L'opera contiene il tema della futilità culturale (sia la futilità dell'aristocrazia per mantenere la relativa condizione, sia la futilità della borghesia nel trovare i significati nel materialismo appena scoperto). Riflette inoltre le forze culturali che interagiscono nel mondo in quel periodo, incluse le dinamiche socio-economiche del lavoro in Russia alla fine del XIX secolo e la nascita della borghesia dopo l'abolizione del sistema feudale nel 1861 che ha portato alla conseguente decadenza dell'aristocrazia.
Dopo la prima realizzazione al Teatro d'Arte di Mosca, l'opera viene tradotta in molte lingue e viene prodotta in tutto il mondo, diventando un classico della letteratura drammatica. Fuori dall'ambito russo alcuni dei più famosi direttori hanno eseguito quest'opera, ciascuno interpretandola in maniera diversa. Tra questi figurano Charles Laughton, Peter Brook, Eva Le Gallienne, Jean-Louis Barrault e Giorgio Strehler. L'influenza della rappresentazione, inoltre, è stata ampiamente rinvenuta negli impianti drammatici di molti autori, compresi Eugene O'Neill, George Bernard Shaw ed Arthur Miller.
Tratto da wikipedia.it

La RAI produsse il dramma nel 1968 con la regia di Mario Ferrero.
Come al solito i migliori attori di teatro furono chiamati a interpretare i ruoli principali: Andreina Pagnani, Tino Carraro, Gastone Moschin, Franco SportellAnna Miserocchi, Mario Carotenuto, Umberto Ceriani, Renato De Carmine.


Anton Čhechov
Il gabbiano
Il gabbiano è un dramma in 4 atti scritto nel 1895 da Anton Pavlovič Čechov. Rappresentato per la prima volta al Teatro Aleksandrinskij di Pietroburgo l'anno successivo, fu un insuccesso clamoroso. Vera Komissarževskaja, che impersonava Nina, fu così intimidita dall'ostilità del pubblico che perse la voce. Čechov abbandonò la platea e durante gli ultimi due atti rimase dietro le quinte.
Nel 1898 Konstantin Sergeevič Stanislavskij e Vladimir Nemirovič Dančenko, che, l'anno precedente avevano fondato a Mosca il Teatro d'Arte, misero in scena una nuova versione dell'opera. Questa volta fu un trionfo. Si tratta di uno dei testi teatrali più noti del drammaturgo russo, e uno dei più rappresentati in assoluto. I personaggi della giovane Nina, della madre attrice Irina, dello scrittore Trigorin sono stati interpretati in tutto il mondo dai maggiori attori di teatro, in messe in scena memorabili tra cui questa, prodotta dalla RAI nel 1969 per la regia di Orazio Costa Giovangigli. Tra gli interpreti Anna Proclemer, Gabriele Lavia, Giancarlo Sbragia, Ilaria Occhini.
C'è molto di Cechov nelle due figure di scrittori che compaiono ne Il gabbiano: l'adolescente Konstantin Gavrilovič Treplev, che mai conoscerà davvero il successo, e il maturo e affermato Boris Alekseevič Trigorin. Sono due dei tanti personaggi che animano il dramma: in modo simmetrico, due sono anche le figure di attrici, la debuttante Nina Michailovna Zarečnaja, facile all'infatuazione per il teatro e la veterana Irina Nikolaevna Arkadina, che ha già un grande avvenire dietro le spalle e che teme più di tutto il tempo che passa. Quest'ultima è anche la madre di Kostantin, ma per lei l'amore materno non è al primo posto nella scala dei suoi valori esistenziali.

Gianni Clementi
L'ultimo volo
Alla fine dello spettacolo gli attori sono visibilmente provati da una recitazione che hanno vissuto sulla loro pelle, interpreti quasi stanislavskiani di una vicenda drammatica, che lascia lo spettatore inchiodato alla poltrona e con l'amaro in bocca. Una storia reale, in cui soltanto i nomi dei personaggi sono di fantasia.
L'emozione del resto traspare in tutta la messa in scena, grazie ad una interpretazione sentita e ai limiti dell'identificazione con il personaggio. L'ultimo volo, il lavoro del drammaturgo Gianni Clementi, è la storia di un gruppo di ventenni di Buenos Aires, che si presenta allo spettatore con tutto il carico di aspirazioni per il futuro e i propri sogni di gioventù. Mentre l'Argentina sta per vincere il campionato mondiale di calcio, i ragazzi si trovano prepotentemente di fronte alla violenza del regime sanguinario del dittatore Videla. A complicare la situazione già di per sé terribile, si aggiunge la presenza di Jaime, un ex-compagno di scuola, nel commando che ha in mano il destino dei giovani. Non è importante alludere all'esito della vicenda, perché la forza della pièce è nella costruzione di un intreccio tragico, che propone conflitti insolubili. Che si tratti di una tragedia è chiaro, nonostante molte scene divertenti e il ricorso ad un registro decisamente comico, anche nei momenti più drammatici. Ma L'ultimo volo è una tragedia senza catarsi, di quelle a cui il teatro del secondo Novecento ci ha abituato. È la tragedia storica di un popolo e di una generazione: dei giovani sequestrati e uccisi, dei bambini fatti nascere e strappati alle madri condannate a morte, delle vite spezzate dei genitori in cerca dei figli scomparsi nel nulla. Il tragico è nella gratuità di una violenza che si indirizza contro persone senza colpa, come i giovani protagonisti ripetono continuamente sulla scena: "Ma noi non abbiamo fatto niente!".
Esperanza, Ines, Mariela, Ruben e gli altri entrano in scena cantando e danzando, per presentarsi a turno, ognuno con le sue aspirazioni, con i suoi problemi e con i suoi amori. Simbolo di questa eccitazione, è il desiderio di volare di Mariela, realizzato paradossalmente nella seconda parte del dramma, con il volo nell'elicottero della deportazione, l'ultimo volo appunto. Allo stesso modo, anche la speranza di vedere l'Argentina segnare il gol del mondiale si compie durante il viaggio, lasciando i giovani con in gola l'urlo di gioia. Il drammaturgo insiste ripetutamente sul violento contrasto dei sentimenti, mostrando l'amicizia come valore imprescindibile ma anche l'amico pronto a tradire, i sogni che si avverano in un orizzonte privo di ogni speranza, la nascita della vita che confina pericolosamente con la morte, la felicità soffocata da un destino cieco. Da questo quadro si distacca il personaggio di Mariano, che commenta dal proscenio e da un presente vicino allo spettatore anche dal punto di vista geografico. Garante dell'intreccio tra presente e passato, Mariano crea un ponte tra la Roma in cui si è trasferito e l'Argentina del 1978, da cui è scappato.

Dalla recensione di Valeria Merola pubblicata da dramma.it.

Il video della commedia L'ultimo volo, di Gianni Clementi con la regia di Mauro Beltramme ed Elisabetta Rossi, è stato registrato al Teatro In Portico dal 16 al 26 marzo 2017.


Luca Ronconi
Il Pasticciaccio (da C. E. Gadda)
E' stata una passione di molti grandi registi, prima di Luca Ronconi, quella di reinventare la drammaturgia grazie ai ritmi e all' espressività garantiti dal recupero della pagina letteraria. Ora Quer pasticciaccio brutto de via Merulana ci regala emozioni di gran teatro attraverso un' assoluta fedeltà a un romanziere straordinario, portandone in scena così com' è il flusso poderoso del suo barocco che procede a furia di diversioni.
Gl' inevitabili tagli non intaccano la scrittura, talché ciascuno qui si recita e si racconta, dicendo le parti che lo riguardano quasi sempre in terza persona, mentre di fatto le vive, col gusto di mostrarci il gesto annunciato, ma anche a volte di contraddirlo con doppio effetto ironico. Riluce quindi come autentica forza trainante nello spettacolo un linguaggio coinvolgente e critico, reale quanto la materia evocata dall' orgoglio beffardo di un romanesco che gioca impastandosi con le molte altre lingue del nostro parlato, dentro a uno spazio in falso marmo, nel giallo ocra del palazzo dell'oro (o 'dei pescicani' ) di via Merulana 219: uno spazio brulicante d' immagini che si compongono e si smangiano assieme alle parole, fin dall' inizio bellissimo con quella folla di spalle che s' allontana verso l' arcata bionda, mentre ne emerge in senso inverso il commissario Ingravallo.
Dietro all'omaggio a una città vibrante e cinica, datata e immanente nel tempo, c' è come infatti si sa un ' poliziesco' che serve a penetrarne le giornate e al quale Franco Graziosi, fisicamente ' ricostruito' dal parruccone bruno, conferisce il filtro cupo e intenso delle sue piccole manie personali e di un filosofico scetticismo, nell' indagare sui due delitti avvenuti a tre giorni di distanza sullo stesso piano della citata casa, la rapina della contessa veneta incarnata dalla bravissima Paola Bacci e la barbara uccisione dell'infelice e inutilmente sensuale Liliana Balducci di Ilaria Occhini. Sono le chiavi per rovistare in un privato mai del tutto indenne da macchie e per dar voce a una coralità popolare che offre sequenze memorabili e straborda con la sua chiacchiera nei corridoi di platea, in questo 1927 di arrembante fascismo, sotto il volto statuario del 'Mascellone'; e a costui son dedicate, dal dopoguerra di Gadda, delle tirate derisorie con l'efficacia veemente di Gian Paolo Poddighe, e un esilarante quadro ginnico di sconquassate Piccole Italiane. Grazie agli interpreti e al lavoro scenografico di Margherita Palli, ci si inoltra nel claustrofobico ambiente del delitto, dove il cadavere di Liliana si alza tra i mobili sconvolti a rivivere un pettegolo passato piccolo-borghese, per evadere poi verso 'il fumigante mistero della città'.
Ed ecco dal gallismo del commissariato - dove la napoletanità suadente dell' ottimo Massimo De Rossi duetta con Stefano Lescovelli e Antonio Zanoletti - germinare magicamente un bordello, in attesa di spostarci in moto, con l' entusiasmante carabiniere piemontese di Giovanni Crippa, verso una periferia sempre più desolata, dall' antro ruffianesco della strega troppo drammatica e uniforme di Marisa Belli a trovar la refurtiva in un casello ferroviario e forse una colpevole d' omicidio in una casa segnata dalla morte. Il tragitto via via più compaciuto del romanzo viene chiarificato dalla regia come una discesa agl' inferi, dove la maledizione più non si cura delle identità. La resa della serva indiziata dei Balducci (Sabrina Capucci) risulterà meno forte della visione del padre di lei inchiodato al suo letto di dolore; e s' affianca comunque ai sospetti già suscitati nei riguardi di una cugina della ragazza, fatti balenare riprendendo un brano di una precedente versione del romanzo, mai arrivato alla stesura definitiva.
Cinquanta sono gli attori in scena in questa clamorosa prova di vitalità interpretativa in cui, più delle discontinuità, spiccano il gusto del travestimento, la galleria dei volti, la qualità dei più giovani. Accanto ai molti già nominati sono da ricordare almeno Corrado Pani, Luciano Virgilio, Massimo Popolizio in versione macchiettistica, la pittoresca Franca Tamantini, la portinaia impetuosa di Evelina Meghinagi, Maria Grazia Bon, Mico Cundari; e vorrei mettere in primo piano i nuovi (o recenti) arrivi: la splendida Alvia Reale, la sarcastica sicurezza di Pierfrancesco Favino, Silvia Iannuzzo, Marco Toloni, Massimo Poggio e l'immediatezza di Marco Bonini, Caterina De Regibus, Paola D' Arienzo, Pietro Sermonti. I costumi svarianti negli anni Venti sono di Gabriele Mayer, le luci di Angelo Rossi, e di Paolo Terni l' acuta scelta delle musiche, rare ma incisive. Dura cinque ore con due intervalli questo Pasticciaccio, destinato inevitabilmente a essere scorciato: ma è uno spettacolo-capolavoro che s' imprime nella memoria e con la sua forte valenza culturale e politica dà un senso all' esistenza dei teatri stabili. La regia televisiva è di Giuseppe Bertolucci.
Liberamente tratto da repubblica.it

Alessandro Baricco
Palamede
Le origini di Palamede sono discusse. Si narra che fu istruito dal centauro Chirone a fianco di Achille, Aiace, Enea e altri eroi a lui coetanei. Ditti Cretese racconta del viaggio che Palamede fece a Troia per conto di Menelao. L'ambasciata fu ricevuta da Priamo e Palamede ottenne il permesso di parlare presso il re troiano: denunciò le brutalità commesse da Paride e la violazione dei legami di amicizia, nonché la possibilità che da questo fatto si scatenasse un conflitto tra greci e troiani come quello che aveva visto contrapposti Pelope e Ilo. Il discorso di Palamede, che fu tenuto con grande eloquenza, convinse molti dei presenti, ma Priamo non volle prendere decisioni in assenza di Paride. Alcuni giorni dopo, Paride si presentò con Elena e quando Priamo le chiese se voleva tornare in Grecia con Menelao, ella rispose che non era giunta in Asia contro la sua volontà e che non era contenta del matrimonio con Menelao, perciò rimase con Paride. Tornati in Grecia, gli inviati riferirono agli altri re gli esiti negativi dell'ambasceria; sdegnati dal comportamento di Paride, i re decisero di formare un esercito da guidare contro Troia per vendicare l'affronto. Agamennone fu scelto come comandante supremo, Achille, Aiace Telamonio e Fenice come comandanti della flotta, Palamede, Diomede ed Odisseo come comandanti dell'esercito. Successivamente Agamennone perse il comando supremo poiché si rifiutava di compiere un sacrificio ad Artemide, e, secondo la versione di Ditti Cretese, l'esercito fu diviso in parti uguali ai comandi di Palamede, Diomede, Aiace e Idomeneo. Palamede dimostrò il suo ingegno smascherando un trucco di Odisseo. A seguito del rapimento di Elena, Menelao richiese ai re greci di rispettare il giuramento con il quale si erano impegnati a difendere lo sposo; Odisseo, non volendo partire per la guerra di Troia per via di un oracolo che gli aveva predetto che sarebbe tornato dopo vent'anni e senza compagni, si era finto pazzo e, aggiogati ad un aratro un bue ed un asino, seminava sulla riva del mare e arava la sabbia. Palamede prese in braccio il piccolo Telemaco, figlio di Odisseo, e lo depose davanti all'aratro: Odisseo alzò immediatamente il vomere per non colpire il bambino e così Palamede capì che Odisseo era perfettamente lucido. Secondo un'altra tradizione, riferita nei Cypria e seguita dallo Pseudo-Apollodoro e da Luciano di Samosata, Palamede afferrò il bambino dalle braccia della madre e minacciò di ucciderlo con la spada; Odisseo allora ammise la finzione e partì per Troia. A seguito di ciò e della gelosia che provava nei suoi confronti, Odisseo meditò come vendicarsi di Palamede. Odisseo introdusse nella tenda di Palamede una grossa somma di denaro e una falsa lettera in cui simulava che Priamo ringraziasse Palamede per avergli riferito notizie sui movimenti dell'esercito acheo. Odisseo, fatta ritrovare la lettera, andò a denunciarlo come traditore presso Agamennone: l'assemblea dei Greci, viste le prove, condannò l'eroe che fu lapidato. Agamennone proibì ai Greci di coprirlo di terra e di celebrarne il rito funebre, minacciando di uccidere chi avesse trasgredito quest'ordine; tuttavia Aiace Telamonio non se ne curò e, dopo aver pianto per la morte del compagno e aver svolto il rito funebre, seppellì il cadavere di Palamede.
Liberamente tratto da wikipedia.it

Henrik Ibsen
John Gabriel Borkman
(1896)
Il mio personaggio da cui prende il titolo il dramma di Ibsen del 1896, John Gabriel Borkman, è, sì, un grande banchiere fallito, ma non è una figura che si confonde troppo con i big attuali della finanza e con i crack economici di cui stiamo pagando le spese a livello globale" tiene subito a dire Massimo Popolizio, che interpreta un roccioso manager del mondo del credito circondato da una moglie che è Lucrezia Lante della Rovere e dall'altrettanto intima sorella di lei che è Manuela Mandracchia, oltre che da un amministratore amico (Mauro Avogadro), e da una generazione di ventenni, con la regia di Piero Maccarinelli. "È un testo simbolico, perché sono un figlio d'un minatore che ha una sola fissazione: prendere ciò che è nel fondo della terra e portarlo alla luce, ossia diffondere la ricchezza. Non riuscendoci. E anche la mia vita affettiva resta bloccata nel fondo.
Borkman riesce a scontentare due donne che sono sorelle gemelle... Alla cognata ammette d'aver provato amore per lei in passato, ma per un gioco freudiano e d'interesse ha lasciato che la sposasse un potente della banca di cui lui aveva bisogno, e lui, Borkman, ha rimediato diventando il marito della sorella di lei.
Quest'uomo viene condannato a un totale di otto anni di carcere, e poi si chiude a casa, nella sua stanza, per altri otto anni. In nome di cosa? Per un'utopia. Per inseguire un obiettivo di futuro e di progresso un po', azzardo un confronto, come il nostro Mattei dell'Eni. Ma Borkman fa pasticci senza alcun retroscena politico e geopolitico. È quasi patetico, nel suo testardo convincimento che qualcuno un giorno o l'altro si convincerà della fondatezza della sua missione.
E oltre alla disputa con le due donne, c'è anche il confronto con un altro uomo... L'unico ammesso a dialogare con lui è un ex collaboratore che guarda caso ha scritto una tragedia che nessuno metterà in scena. Due artefici di disastri della vita si fronteggiano. È ovvio che il collaboratore ha il ruolo designato della vittima. E poi ci sono i giovani... Borkman è così estraneo ai fatti quotidiani che non segue e non conosce il proprio figlio, un figlio che viene invece conteso dalle due sorelle. Lui pensa solo a sé. "Il solo verso il quale mi riconosco colpevole sono io stesso", dice. E a più riprese ci sono vari colpi di scena.
Tratto da repubblica.it

Henrik Ibsen
Casa di Bambola
(1879)
NORA: "Tu non pensi e non parli come l'uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l'angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. Ed io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t'eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, Torvald; ho capito in quell'attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli... Vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero!"

Quando venne rappresentato Casa di Bambola, il dramma di Ibsen suscitò scandalo e polemica essendo stato interpretato come esempio di femminismo estremo. Ibsen addirittura fu costretto a cambiare finale all'opera nella sua rappresentazione tedesca, poiché l'attrice che interpretava Nora si rifiutò di recitare la parte di una madre ritenuta da lei snaturata. Ibsen stesso dichiara il 3 gennaio 1880: "Casa di bambola ha sollevato una fortissima reazione; le fazioni si fronteggiano bellicose; l'intera grossa tiratura del libro, 8.000 esemplari, è andata esaurita nel giro di due settimane e si sta già preparando una ristampa. Oggetto della contesa non è il valore estetico del dramma, ma il problema morale che pone. Che da molte parti sarebbe stato contestato lo sapevo in anticipo; se il pubblico nordico fosse stato tanto evoluto da non sollevare dissensi sul problema, sarebbe stato superfluo scrivere l'opera."
Per i vittoriani il legame del matrimonio era considerato sacrosanto e l'abbandono del marito da parte della moglie era inconcepibile e completamente inaccettabile.
Il dramma di Nora è quello di una donna costretta a vivere in una società a cui non sente di appartenere perché la considera una mera bambola. La sua vicenda non è soltanto una polemica sulla condizione femminile del XIX secolo, ma rappresenta anche una testimonianza dell'insopprimibile anelito alla libertà e all'esaltazione della vita. Nora afferma di non capire queste leggi e di non riuscire a convincersi che siano giuste, poiché ella non è disposta a rinunciare a vivere. Tutte le leggi che le proibiscono di amare ed essere felice sono per lei solo parole scritte in qualche libro che rimangono tali. Prima di tutto, Nora vuole vivere pienamente e realizzarsi come persona, badando a sé stessa autonomamente senza essere mai più la bambola di qualche bambino viziato.
Il dramma è rappresentato per la prima volta in Italia nel 1891, a Milano dalla compagnia Eleonora Duse.
La RAI produce la versione televisiva nel 1968. La regia è affidata a Gian Domenico Giagni che, nella vita, è stato anche sceneggiatore, giornalista e poeta.

Henrik Ibsen (1828-1906) è stato un drammaturgo, poeta e regista teatrale norvegese.
E' considerato il padre della drammaturgia moderna, per aver portato nel teatro la dimensione più intima della borghesia ottocentesca, mettendone a nudo le contraddizioni e il profondo maschilismo.


Vladimiro Cajoli
I figli di Medea
I figli di Medea è uno strano, insolito prodotto televisivo di fine anni cinquanta, frutto del nuovo media da poco inaugurato in Italia, ma assai lungimirante e profetico in merito all'avvenire dello strumento di comunicazione più diffuso e più penetrante.
Si tratta non di un semplice sceneggiato televisivo a tema mitologico, come lascerebbe intendere il titolo, ma di un autentico evento mediatico in cui la finzione compenetra la realtà. Dopo pochi minuti dall'inizio della tragedia, un collegamento "in diretta" coinvolge la protagonista, Alida Valli nella parte di Medea, ed Enrico Maria Salerno in un bar di via Teulada, davanti alla storica sede romana della RAI. L'attore appare in video sconvolto per il dramma umano che sta vivendo, dopo averlo provocato. Si sa che ha sequestrato un bambino, figlio suo e della Valli. Lo ha fatto per ricattare la Rai obbligandola a fargli trasmettere un suo proclama in diretta. E ora che il ricatto è riuscito, mentre tutti trepidano per la sorte del bambino che la polizia sta intanto cercando, Enrico Maria Salerno spiega che la sua azione si prefigge lo scopo di mettere in guardia il telespettatore dal pericolo rappresentato per lui e per i figli da un uso malevolo e ingannevole dei mezzi di comunicazione. Il regista per rendere più credibile il tutto, inserisce imprecisioni, inquadrature fuori centro, sfocature, inattese e rapide entrate in campo di individui estranei alla scena.
I telespettatori ci credono: pensano veramente di stare assistendo a un collegamento in diretta, pensano realmente che Enrico Maria Salerno abbia rapito il figlio avuto con Alida Valli e che questo fanciullo sia in pericolo di vita, e provano ansia e preoccupazione per lui, tanto da spingere qualcuno a telefonare ai centralini della Rai per segnalare presunti avvistamenti.
E' il pubblico degli anni cinquanta, ingenuo e ai primi approcci con la TV, che conosce i due attori più importanti, Salerno e la Valli, ma non gli altri attori che impersonano lo psicologo, il commissario o l'anziana signora che tenta di convincere Salerno a collaborare.
Autore della originalissima piéce è Vladimiro Cajoli, giornalista e sceneggiatore che arriva a lavorare in televisione proprio grazie a questo script, vincente al Concorso Nazionale Originali Televisivi della Rai. La regia è di Anton Giulio Majano, regista e sceneggiatore cinematografico, a cui il soggetto viene proposto e che accetta di buon grado.
liberamente estratto da Archivio Abastor

Diego Fabbri
Inquisizione
Diego Fabbri nasce a Forlì il 2 luglio 1911. Studia scienze economiche a Bologna , ma frequenta anche le lezioni di letterati e di storici. A diciassette anni scrive il suo primo testo teatrale, I fiori del dolore, che sarà rappresentato negli oratori da compagnie filodrammatiche.
Comincia a scrivere critiche teatrali e letterarie per Il Momento, settimanale cattolico di Forlì, e collabora attivamente alla casa editrice Stella di Bagnocavallo.
Nel 37 si sposa e vive con la famiglia sempre più numerosa con i proventi delle lezioni private (egli insegnava filosofia, pedagogia, letteratura italiana; la moglie latino e greco). Nel '39 viene a Roma per dirigere la casa editrice Ave della Gioventù di Azione cattolica presieduta da L. Gedda. Vi rimase fino alla morte avvenuta nel 1980. Nel corso della sua attività di drammaturgo scrive drammi morali, drammi religiosi, tra i quali il capolavoro Processo a Gesù, drammi della coscienza e quattro commedie tra cui La bugiarda.
In Inquisizione l'autore comincia a cimentarsi nell'approfondimento psicologico dei personaggi. Nel santuario che li accoglie, Renato, Angela e don Sergio dibattono le ragioni della loro crisi e dei loro tormenti. Renato si sente destinato ad ideali diversi da quelli del matrimonio: guarda alle vette di una solitudine che è insieme scontrosa e mistica, ed è per questo che i rapporti con la moglie sono presto approdati all'ostilità, al rancore e all'odio. Angela, la moglie, è invece una creatura tutta terrena, febbrile, violenta, sensuale. Don Sergio è la terza presenza inquieta dell'opera: in procinto di lasciare il suo ministero ora che s'è accorto d'aver sbagliato strada, egli è diviso fra il dovere di "tener fede alla promessa fatta" e quello di non tradire la propria natura. L'abate, quarto personaggio, osserva i tre con severa mestizia e tenta di intervenire tra loro come guida spirituale. Inutile dire che la religiosità di Fabbri, unita alla rigida confessionalità della RAI di quegli anni, hanno condotto alla scelta di questa pièce, molto intressante ma con un finale poco credibile e melenso.
Inquisizione va in onda nel luglio del 1955, quando ancora le trasmissioni non raggiungono l'Italia intera, con la riduzione televisiva di Saverio Vertone, le scene di Bruno Salerno, la regia di Daniela D'Anza.
Gli interpreti sono i più grandi attori che la RAI, come al solito, recluta in teatro: Salvo Randone, Vittorio Sanipoli, Elena Zareschi, Giancarlo Sbragia.

August Strindberg
Temporale
Temporale è l'opera in cui si riassumono i grandi temi affrontati da drammaturgo svedese August Strindberg (1849 - 1912) in tutto il suo teatro: le crudeltà nei rapporti che si sviluppano all'interno della famiglia borghese, l'angoscia esistenziale, i rapporti umani resi difficili da meschinità, egoismo e cinica indifferenza.
Vi si racconta poco più che l'epilogo di una vicenda in gran parte già accaduta e che veniamo a conoscere attraverso il dialogo.
In una serata come tante c'è un temporale, di cui si sentono tuoni e lampi, che però ancora non scoppia, metafora di quello che sta per accadere ai personaggi chiusi nel loro piccolo mondo all'interno di un edificio: un signore anziano (Ivo Garrani), suo fratello (Antonio Pierfederici), la ex moglie (Franca Nuti) che dopo anni è tornata ad abitare al piano superiore dello stesso palazzo, con il secondo marito e la figlia avuta dal primo. La loro vita si intreccia a quella della famiglia di un pasticcere (Carlo Bagno) che vive nello stesso stabile al pian terreno.
La regia televisiva di questa produzione del 1970, la RAI la affidò a Claudio Fino.

Friedrich Dürrenmatt
La visita della vecchia signora
La città di Gullen si trova in gravi condizioni e la decadenza sembra inarrestabile. I suoi cittadini si sono riuniti alla stazione ferroviaria per attendere il ritorno di Claire, la figlia più famosa di Gullen, ora multimilionaria signora Zachanassian, che sta arrivando. Il suo è un bagaglio strano: include una bara, una portantina e una pantera nera. L'accompagnano anche due eunuchi ciechi. Per la gente di Gullen il ritorno di questa loro concittadina potrebbe rivelarsi un'occasione di ripresa e tutti attendono speranzosi di ricevere aiuto da questa donna di cui si favoleggia la straordinaria ricchezza.
Così inizia "la visita della vecchia signora", storia di ipocrisia e moralismo scritta dal drammaturgo, scrittore e pittore svizzero di lingua tedesca Friedrich Dürrenmatt.
Si tratta di una commedia nera che sonda il lato oscuro della natura umana. In questa produzione della RAI del 1973, l'adattamento e la regia sono affidati a Mario Landi che dirige grandissimi attori di teatro: Sarah Ferrati, nel ruolo della vecchia signora Claire Zachanassian, Francesco Mulè in quello del Borgomastro, mentre Gianni Santuccio interpreta Alfred Ill, primo amore di Claire e ora oggetto di una sua particolare attenzione.
Gli elementi che si ritrovano nelle opere di Dürrenmatt sono: la convinzione che il destino degli uomini è orientato dal caso; la descrizione ironica o grottesca del perbenismo e della meschinità della società svizzera; la diffidenza nei confronti di una giustizia mai capace di raggiungere l'essenza della verità umana. Per Dürrenmatt, ciò che dovrebbe essere realmente condannabile finisce molto spesso per sfuggire alla giusta punizione.

Silvano Ambrogi
I burosauri
Silvano Ambrogi, romano di nascita e pisano d'adozione, è uno scrittore e uno sceneggiatore nato nel 1927 e morto nel 1996. Iniziò a scrivere i Burosauri in forma di romanzo. Poi si rese conto che la ricchezza del dialogo e la particolare struttura della trama a cui stava dando vita, erano tipiche di una commedia e in tale forma decise di portarla a compimento. Fu rappresentata per la prima volta al Piccolo Teatro di Milano. Ebbe un notevole successo, inaspettato per la critica. In fondo Silvano Ambrogi era al suo esordio come drammaturgo e appena conosciuto come scrittore grazie al suo primo romanzo, "Le svedesi", pubblicato l'anno prima: una storia estiva di ragazzi pisani in attesa spasmodica dell'arrivo di villeggianti straniere "emancipate", dalle quali speravano di ottenere ciò che le loro conterranee erano molto restie a concedere.
I Burosauri, è una impietosa feroce rappresentazione della burocrazia più ottusa.
Un ufficio, creato per eseguire solo pratiche derivanti dall'applicazione di una legge, attende impaurito e agitato l'arrivo di un burocrate di livello superiore a quello del capo, la cui maniacale idea di ordinata conduzione dei sottoposti viene messa in crisi dalla morte improvvisa in ufficio di uno di loro, vista non come dramma umano ma come increscioso imprevisto da gestire in sordina con la complicità di tutti.
Il capufficio è Ernesto Calindri che giganteggia in un ruolo disegnato dall'autore in modo perfetto, grazie alla sua personale esperienza di dipendente statale. La regia teatrale è di Ruggero Jacobbi e la regia televisiva di Lyda Ripandelli.
Il termine "burosauri", immaginari animali di una lentezza esasperante che vivono in un arido e polveroso mondo di scartoffie, divenne un neologismo molto usato ed entrò rapidamente nel lessico per riferirsi all'ambiente del pubblico impiego con le sue rigidità e i suoi cavilli, in stridente contrasto, nell'epoca del boom economico, con il dinamismo e la spregiudicata flessibilità che invece erano tipiche dell'impresa privata in rapida espansione.

Annibale Ruccello
Notturno di donna con ospiti
Tre opere di Annibale Ruccello "Le cinque rose di Jennifer", "Notturno di donna con ospiti" e "Weekend" fanno parte di quella che i critici hanno chiamato la trilogia della solitudine. Una solitudine che non nasce da difficoltà a comunicare ma da una propensione a divagare continuamente pur di evitare di affrontare la realtà. Fino al delirio.
"Notturno di donna con ospiti" si svolge in una periferia isolata di una metropoli. Forse è Napoli, a sentire il dialetto dei protagonisti, ma la vicenda narrata potrebbe svolgersi in una periferia di qualsiasi altra grande città. La protagonista, Adriana (Giuliana De Sio), è una giovane madre di due bambini, in attesa di un terzo. Il marito Michele fa la guardia notturna e la donna passa le sue nottate chiusa in casa a gironzolare sfaccendando o a guardare la televisione davanti alla quale sonnecchia annoiata e infastidita dal fatto che in quella zona non si prende RAI Uno.
E' in una notte così che sente bussare ripetutamente alla porta una donna che le chiede aiuto. Dopo una lunga esitazione la lascia entrare. E' una donna invadente che Adriana riconosce perché da bambine andavano a scuola insieme. In poco tempo a invadere la sua casa saranno in quattro. Gli "ospiti" rompono la sua solitudine e la trascinano in un'atmosfera strana che le fa dimenticare la sua profonda infelicità, i tristi ricordi di infanzia, le incomprensioni familiari, la rabbia che sente inespressa dentro di sé. Ma il ritorno alla realtà sarà sconvolgente.

Annibale Ruccello
Ferdinando
Annibale Ruccello è stato drammaturgo, regista e attore. E' morto trentenne, nel 1986, in un brutto incidente automobilistico sull'autostrada Roma-Napoli. Anche un altro attore, che guidava la macchina in cui viaggiavano, perse la vita. La donna che era con loro e che riuscì a cavarsela, ha potuto raccontare della felicità di Annibale perché a Roma, al Ministero del Turismo e dello Spettacolo dove era andato a informarsi, aveva ricevuto la promessa che alla loro Cooperativa Teatro Nuovo - Il Carro sarebbe stata concessa la qualifica di Teatro Stabile Privato e se ne stava tornando a Castellammare parlando con grande entusiasmo dei suoi progetti di lavoro. Nella sua brevissima vita di drammaturgo ha scritto sei opere maggiori, successivamente valorizzate e rappresentate con grande successo. "Ferdinando" è unanimemente considerato il suo capolavoro. Fu scritto da Ruccello nel 1985, espressamente per Isa Danieli che ne ha magistralmente interpretato la coprotagonista Donna Clotilde, baronessa borbonica in decadenza che, a 9 anni dall'unità d'Italia, rifiuta risolutamente di parlare italiano, una lingua "senza sapore, senza storia... 'Na lengua 'e mmerda... 'Na lengua senza Ddio!". La RAI registrò "Ferdinando" nel 1998, trasmesso poi da "Palcoscenico di Rai Due", con Isa Danieli e la regia televisiva di Giuseppe Bertolucci. Grazie a Youtube, chi si è incuriosito, può vederlo integralmente, linkato qua sopra.
DA NON PERDERE.


Ugo Betti
Delitto all'isola delle capre
Nel 1978 la RAI affidò a Ottavio Spadaro la regia di un altro sceneggiato televisivo tratto da una delle ultime opere di Ugo Betti, "Delitto all'isola delle capre". E' un dramma che ha ricevuto critiche controverse, in particolare per quel perbenismo borghese, dal quale Betti è accusato di farsi prendere troppo la mano. Un perbenismo che finisce per mettere molto in cattiva luce i personaggi femminili. La trama: un forestiero che dice di aver viaggiato molto arriva in un'isola di pastori dove vivono tre donne, la vedova Agata, sua figlia Silvia e sua cognata Pia. L'uomo si presenta come un amico del marito di Agata e fratello di Pia, un professore che prima di morire gli avrebbe chiesto di andare dalle tre donne sull'isola per aiutarle a sostenere la loro dura vita quotidiana, ora che sono rimaste sole. Purtroppo ambiguità, rivalità e gelosie non tarderanno a scatenarsi e ognuno cercherà alla fine di uscire da quella condizione diventata intollerabile per tutti. Qualcuno però non ci riuscirà. Tra gli interpreti svettano Anna Miserocchi e Franco Graziosi che poi sarà, 18 anni più tardi, l'inarrivabile commissario Ingravallo nel Pasticciaccio di Luca Ronconi.
Il dramma comincia a 2' e 17".

Ugo Betti
Corruzione a Palazzo di Giustizia
Nel 1966 la RAI affidò a Ottavio Spadaro la regia di uno sceneggiato televisivo tratto dal dramma "Corruzione al Palazzo di giustizia", di Ugo Betti. L'opera è considerata una delle più importanti tra quelle scritte dall'autore marchigiano che, nella sua vita, svolse anche la professione di magistrato. Si tratta di un dramma che lo rese famoso, come gli altri due "Frana allo scalo nord" e "Delitto all'isola delle Capre", tutti rappresentati con successo anche all'estero. Nella storia del teatro italiano Ugo Betti è considerato tra i più grandi drammaturghi della prima metà del Novecento. Attori teatrali del calibro di Tino Buazzelli, Glauco Mauri, Nando Gazzolo, Annibale Ninchi, Loris Gizzi, le loro bellissime voci e una eccellente regia televisiva, resero indimenticabile lo sceneggiato. Davanti a documenti come questo video, gli appassionati di teatro sentono di essere profondamente grati alla RAI di quegli anni e a Youtube.
Il dramma comincia a 5' e 20".

Carmelo Bene
Quattro diversi modi di morire in versi
Spettacolo teatrale e, poi, televisivo, che Carmelo Bene ha interpretato e diretto. Comprende un montaggio di poesie e poemi tratti dalle opere dei quattro poeti russi più noti degli anni venti: Blok, Majakovskij, Esénin, Pasternak. Il montaggio è stato fatto in modo da formare un ideale dialogo fra questi quattro poeti vissuti nei decenni decisivi ed esaltanti della rivoluzione russa. I momenti della speranza, i traumi della realtà violenta, le contraddizioni interiori e infine i gesti estremi del suicidio o dell'esilio morale, sono la materia drammatica di questa rappresentazione.

Lucio Dalla e Carmelo Bene
2000 -Presentazione de 'l mal de' fiori di Carmelo Bene in occasione delle repliche dello spettacolo Hamlet suite dello stesso autore all'Arena del Sole, il maggiore teatro stabile di Bologna. E' una videoregistrazione che ritrae insieme i due indimenticabili personaggi della cultura italiana.