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Piccolo testamento
di Eugenio Montale
Questo che a notte balugina nella calotta del mio pensiero, traccia madreperlacea di lumaca o smeriglio di vetro calpestato, non è lume di chiesa o d’officina che alimenti chierico rosso, o nero. Solo quest’iride posso lasciarti a testimonianza d’una fede che fu combattuta, d’una speranza che bruciò più lenta di un duro ceppo nel focolare. Conservane la cipria nello specchietto quando spenta ogni lampada la sardana si farà infernale e un ombroso Lucifero scenderà su una prora del Tamigi, del Hudson, della Senna scuotendo l’ali di bitume semi- mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora. Non è un’eredità, un portafortuna che può reggere all’urto dei monsoni sul fil di ragno della memoria, ma una storia non dura che nella cenere e persistenza è solo l’estinzione. Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato non può fallire nel ritrovarti. Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio non era fuga, l’umiltà non era vile, il tenue bagliore strofinato laggiù non era quello di un fiammifero. | |
Note |
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Poesia di Montale del 1953. Ha quasi 70 anni e… non li dimostra. Si incontrano il rifiuto delle grandi costruzioni teoriche, convinte di stare nella Verità, a cui il Poeta oppone la sua misera e provvisoria “iride” tra fede e speranza. Alla grande storia, scossa da insensatezza luciferina, si oppongono i ricordi personali affidati ad una donna-angelo. Riverbera la debole luce di una poesia onesta, frammento che sopravvive alla distruzione. | |
Questi versi di Eugenio Montale sono stati inseriti da Sergio Poli il 03-06-2022 |