A quando, il Nobel ad un immigrato in Italia?
di Carlo Corridoni---08-10-2021
Non sempre è possibile interpretare l'imperscrutabile motivazione dei Premi Nobel. Immodestamente, qualche volta ho sospettato perfino che certe attribuzioni potessero essere dovute alle intenzioni presunte nei premiati ...
Ad esempio, perché non, per anni ed anni, fu mai assegnato il Nobel a Nicola Cabibbo, fisico insigne, ma andò invece a scienziati che avevano sviluppato le sue intuizioni? Ed ecco che, come recita ancora la scritta leonardesca nell'Aula di Chimica della Sapienza, 'TRISTO IL DISCEPOLO CHE NON SUPERA LO SUO MAGISTRO', èccoci tutti risarciti col premio a Giorgio Parisi, che di Cabibbo fu allievo eccezionale!
E vengo al Nobel di oggi, quello per la Letteratura, assegnato allo scrittore Abdulrazah Gurnah, di cui ignoro tutto ma che mi ha impressionato per la presentazione che questa mattina Nicola La Gioia ne ha fatto su Pagina tre di Radio3.
A proposito, questa presentazione potreste riascoltarla anche voi su RadioPlay, per essere introdotti alle considerazioni che sto per fare.
Certo, io neanche sono in grado di commentare dal punto di vista letterario un'opera che è lontana dai miei interessi e dalla mia cultura di base, ma il racconto di La Gioia sull'opera dello scrittore mi ha aperto la mente sugli import-export culturali che la trasmigrazione dei popoli fra continenti rende possibili.
Insomma, il prodotto di questo scrittore non solo presenta profili di originalità ma ci introduce alle tematiche multiculturali del futuro.
Non per caso un estimatore di Gurnah pare che sia lo stesso Salman Rushdie, l'autore dei celebri Versetti satanici.
Leggerò, quindi, le opere di questo campione della letteratura, che, pur celando fin dall'inizio la sua cultura di base nel Paese in cui era immigrato (e che conosceva anche approfonditamente), per prudenza, per non dare nell'occhio, per meritarsi la sopravvivenza, ha realizzato delle sintesi del tutto inaspettate!
Ecco un nuovo senso da dare all'immigrazione: la valorizzazione mutua delle culture che s'incontrano-scontrano, delle sintesi che ne scaturiscono e che andranno a formare - si spera - una nuova Umanità.
Per questo ripeto la domanda dell'incipit: quando sarà possibile ad uno dei nostri immigrati uscire dai confini, dai recinti che gli costruiamo incombenti sulle loro stesse esistenze?
Care cose a tutti.