Ho detto tutto! Taceva Peppino.
di Carlo Corridoni---10-04-2019
Le sentenze non si commentano. Si eseguono. Si rispettano.
Però, di quali sentenze parliamo? Ovvio: di quelle definitive 'passate in giudicato', di quelle - appunto - eseguibili.
Delle sentenze abortite, cioè quelle che la stessa Magistratura corregge, annulla o stravolge, si deve poter pure giudicare il come, il quando, il perché.
E, per essere chiaro, dico di discutere tutti i tipi di perché: il perché causale, che si dovrebbe trovare nelle motivazioni pubblicate, e il perché finale, che si troverebbe solo fra le congetture delle ipotesi di ricerca storica.
La prima sentenza assolve Ignazio Marino, l'Appello lo condanna con ignominia producendo effetti irrecuperabili irrisarcibili e ancora irrisolti. Poi, quando non c'è più niente da fare, ecco la sentenza delle sentenze: il fatto non sussiste. E adesso zitti!
Ecco, mi piacerebbe che la sentenza in giudicato avesse almeno il verbo all'imperfetto: il fatto non sussisteva. Non solo non esiste oggi: non esisteva fin d'allora!
E gli effetti che oggi scontiamo originerebbero da un non fatto, addirittura da un'innocenza!
E'l poaro fornareto de Venesia? Se lo recordaremo. Ghe pensaremo.